“Late night conversation” è il debutto sulla lunga distanza per i The Forecast, un giovane gruppo proveniente dalla classica provincia americana (Peoria, Illinois), che vuole descrivere con la sua musica e i suoi testi proprio l’ambiente in cui vive, un universo fatto d’incertezze, di facili scoraggiamenti, di sogni infranti e più in generale, raffigura quelle difficoltà esistenziali, principalmente giovanili, legate alla “sopravvivenza” in una piccola opprimente città, con poche possibilità “costruttive” d’uscita, se non, forse, la presa di coscienza della necessità di non rimanere inermi e passivi di fronte a tale situazione. Concetti, se vogliamo, molto “statunitensi”, che un certo tipo di letteratura e cinematografia ci hanno spesso illustrato diffusamente e che nonostante siano diventati anche un po’ stucchevoli, conservano, comunque, una buona dose di “fascino” e in cui ci si può, purtroppo, riconoscere anche se non si consuma la propria esistenza nel continente (nord) americano.
Musicalmente, la band potrà essere facilmente inserita nel tradizionale filone dell’emo-core, o per meglio dire, nel settore più rock di queste ormai inflazionate coordinate stilistiche e in qualche modo tale affiliazione è abbastanza corretta, ma sarebbe un errore confondere i The Forecast nel consunto calderone di tanto di quel “poppettino” travestito che purtroppo viene classificato in questo modo per comodità “commerciali”.
Potremo dire che il gruppo suona un’interessante variazione del genere appena citato, un indie rock emo-tivo, che guarda sia ai The Promise Ring, sia ai classici degli anni ’70 e si abbevera contemporaneamente alla fonte del grande e seminale punk dei Losangelini X, grazie ad un apprezzabile dualismo vocale maschile / femminile, che richiama proprio quella fantastica esperienza.
E’, infatti, quest’alternanza tra le belle voci di Dustin Addis e Shannon Burns a rappresentare il vero punto di forza dei nostri, la quale affiancata a trame melodiche efficaci, a chitarre piuttosto “fisiche” e a stacchi alquanto “familiari” ma pregevoli, costituisce la formula semplice e al tempo stesso vincente del disco.
L’irruenza di “Seating subject to availability” e “Fade in fade out”, la bellezza insita in “These lights”, insieme alle eccellenti melodie di “Exorcise demons” e “Sleep tight tonight”, rappresentano i numeri più riusciti del dischetto e abbastanza piacevoli sono il fraseggio chitarristico rockeggiante di “Whiskey’s dead you’re next” e il discreto appeal di “Late night conversation” e della buona “Apr”, mentre “Helping hands”, una sorta di ballata elettro-acustica rurale, si dimostra più scontata, ma piace, in ogni caso, il controcanto un po’ alla Suzanne Vega.
Il disco si chiude con una breve traccia solo chitarra, voce (maschile) e scoppiettii tipici del buon vecchio vinile (un’effettistica “forzata”, che personalmente non ho mai capito molto).
Una bella scoperta di casa Victory, dunque, che dimostra di non aver perso il proprio “tocco”, dopo alcune passate piccole “cadute di stile” e che porta Tommy Brummel della famosa label del bulldog a dichiarare di adorare la passione autentica dei ragazzi del Midwest, la loro miscela di punk e attitudine cantautorale applicata al rock e di non riuscire a smettere di ascoltare il loro album.
Il suo parere è ovviamente “leggermente” di parte, ma anche senza spingermi a tanto, mi sento di consigliare “Late night conversation” e la sua splendida copertina notturna, a tutti gli appassionati di questo stile musicale (anche a quelli che si erano un po’ stufati del suo recente “appiattimento”), per un gruppo che difficilmente diventerà il nuovo Jimmy Eat World o la risposta ai The Get Up Kids (e dal punto di vista squisitamente artistico, questo non può che essere un bene), ma che riesce, pur senza strafare, a stupire in modo positivo.
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