Ascoltare un disco dei
Sahg, soprattutto negli ultimi tempi, equivale a intraprendere una sorta di viaggio in un universo fatto di suoni tenebrosi, slabbrati, a volte minacciosi, il tutto immerso in un’immensa nuvola di materiale cosmico, capace di alterare le percezioni sensoriali e confondere le idee.
Le influenze della band capeggiata dal cantante e chitarrista
Olav Iversen vanno dai Pink Floyd ai Black Sabbath, passando per Led Zeppelin e
David Bowie, ma bisogna anche dire che nelle mani dei norvegesi tali influssi finiscono per subire un processo di “disintegrazione molecolare”, per poi venire ricomposti in un’esposizione in cui le loro nobili fattezze espressive, pur rimanendo riconoscibili, appaiono spesso trasfigurate e distorte.
E allora proviamo a descrivere alcune delle fotografie scattate durante questa straniante esplorazione in un mondo dai confini al tempo stesso conosciuti e alieni: “
Black unicorn” offre panorami iridescenti e ipnotici, da cui si scorge l’effige vaporosa di
Syd Barrett sullo sfondo, "
Take it to the grave” (con un pizzico di Alice In Chains nell’impasto sonico) ritrae l’altare di una misteriosa cattedrale gotica avvolto nell’incenso, “
Sanctimony” è uno scorcio sghembo della campagna britannica più solforosa e allucinata, mentre "
(Praise the) Electric sun” ne presenta una seppiata veduta bucolica e autunnale.
“
Blood of oceans”, poi, è forse l’immagine che rimane maggiormente impressa dell’intero
album … con il suo incedere incalzante e oscuro, consente all’astante di diventare spettatore privilegiato di un epico e tragico campo di battaglia, dove a vincere è sicuramente la suggestione emotiva e il piacere d’ascolto.
“
Memento mori” (“
ricordati che devi morire” … locuzione latina rivolta a rammentare la fugacità della vita, non lasciandosi sopraffare dalla superbia, neanche dopo i trionfi più eclatanti ...), proseguendo nel percorso evolutivo del precedente “
Delusions of grandeur”, ci riconsegna un gruppo che affronta con maturità, ispirazione e innata personalità la cultura musicale “vintage” e che tuttavia, a dispetto di alcuni sprazzi di accentuata irruenza, ha perso per strada un po’ di quell'impressionante intensità che aveva caratterizzato i suoi primi tre splendidi
full-length … un altro bel lavoro, comunque.
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