Come deve essere considerato un pittore che riesce a eseguire copie praticamente perfette dei capolavori del passato ma niente altro oltre quelle? E’ un ottimo esecutore o ha una creatività pari a quella di un procione in letargo? In tutta onestà non ho una vera e propria risposta e nemmeno credo esista quella giusta che fughi ogni dubbio.
In campo musicale, poi, tutto questo assume connotati ancora più indecifrabili. Ci sono le tribute band che fanno soltanto cover del gruppo idolo, ci sono quelle “normali” che scrivono canzoni in cui riversano il loro background e poi ci sono le tribute band in incognito. Si tratta di quei gruppi che propongono brani in modalità fotocopia che ricordano in tutto e per tutto la band madre, riffing, struttura, ritornelli, suoni e perfino la voce del cantante. Tutto nel vero senso della parola.
Gli
Hardbone con questo
“Tailor-Made” fanno parte di questa categoria al 110%, come urlano al mondo nel loro slogan
“0% Bullshit, 110% Rock’n’Roll”. Che siano rock’n’roll non ci piove, sul 0% bullshit qualche perplessità me la concedo. Bastano pochissimi secondi dell’opener
“No Man’s Land” per capire che gli
AC/DC abitano il tempio venerato dai nostri amici di Amburgo. Prendo pari pari le parole di
Michele Marando che su questo stesso sito aveva recensito il buon
“Black Ice” degli australiani così:
“Il riff, il suono delle chitarre di
Angus e
Malcolm Young, il groove incalzante della batteria di
Phil Rudd, il pulsare del basso di
Cliff Williams, la voce al vetriolo di
Brian Johnson, tutto è al proprio posto, tutto è
AC/DC al 110%.“ Sostituite soltanto i nomi degli interpreti ed avrete un quadro più che chiaro della situazione.
Non c’è una canzone, un passaggio, un momento anche microscopico che possa in alcun modo far pensare che gli
Hardbone abbiano la benché minima intenzione di essere diversi da ciò che sono e dato che sono arrivati già al quarto album è palese che l’idea non li sfiori nemmeno da un milione di chilometri. Hanno semplicemente preso il manuale
“Come scrivere canzoni in perfetto stile AC/DC”, se lo sono studiati per mesi e mesi e ne hanno messo in pratica ogni singola parola. E come se non bastasse sono riusciti a trovare nel cantante
Tim Dammann un clone totale di
Brian Johnson, altro che
Axl Rose. In questo dobbiamo ammettere che sono stati bravi. Così come non possiamo non apprezzare la qualità della produzione e le capacità strumentali, che dimostrano una notevole applicazione per raggiungere il risultato desiderato.
Se dovessi basare il mio giudizio sulle caratteristiche tecniche e sull’attitudine di questo
“Tailor-Made” non avrei alcun problema nello spendere buone parole e regalare agli
Hardbone un voto più che onorevole. Purtroppo però non posso per amor loro cancellare oltre 40 anni di storia dell’hard rock facendo finta che i fratelli
Young non abbiano mai fondato un gruppo di una portata davvero immensa. Va bene prendere ispirazione dai propri idoli, va bene anche essere simili e potrebbe andare bene anche l’essere praticamente uguali se si fosse al primo disco. Ma qui siamo di fronte alla ben precisa scelta di essere una band clone in ogni particolare e con tutto il cuore non vedo nessun motivo al mondo per il quale dovrei preferire anche una sola volta nella mia vita l’ascolto questo lavoro a uno qualunque della sterminata discografia degli
AC/DC.
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