Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2016
Durata:76 min.
Etichetta:Svart Records

Tracklist

  1. DROP ME DOWN
  2. DYING RAIN
  3. NO ONE KNOWS
  4. WHAT HAVE I DONE
  5. SUNSHINE
  6. THERE USED TO BE A DARKNESS
  7. GOLDEN AGE OF THE LOWLANDS
  8. I GAVE YOU ALL

Line up

  • Mikko Joensuu: all instruments

Voto medio utenti

Amen 2” è la seconda parte di una trilogia che l’artista finnico Mikko Joensuu ha in animo di concludere a breve.
Non ho ascoltato la prima parte, quindi mi dovrò concentrare su questa.
Mikko è un cantautore, abbastanza ispirato, soprattutto nelle melodie, sebbene non particolarmente dotato dal punto di vista vocale, limitandosi a interpretare, e però capace di trasmettere un flusso di emozioni variegate, che nonostante l’intimismo appaiono solari e colorate.
Quando parliamo di solari, non stiamo parlando del sole dei caraibi, ma del freddo sole nordico, che più di un languido tepore non riesce a dare.
Le buone intuizioni, tuttavia, sovente, vengono perse a causa di una prolissità che ha del patologico. Il disco in realtà è doppio, per oltre 76 minuti di musica, spalmati su 8 canzoni. Per esempio la conclusiva “I Gave You All” finisce grosso modo al minuto 7, e fino al minuto 20 (!) c’è una nuance ambient francamente inutile. E ciò avviene un po’ con tutte le composizioni.
Capisco che il nostro volesse creare un’atmosfera dilatata, onirica, espansa, ma ha ecceduto.
Ciò detto è chiaro che il nostro ci sa fare. L’iniziale “Drop Me Down” è sospesa tra Lou Reed e Johnny Cash, come se gli stessi si mettessero a suonare roba dei Sigur Ros, con quell’andamento ridondante che riverbera sulla melodia di tastiera.
Dying Rain” addirittura mi ha portato alla mente certe cose di Vangelis e la componente ambient liquida è decisamente una delle carte vincenti di questo disco. Stesso discorso per la successiva “No One Knows” il cui beat, inoltre, ci riporta direttamente agli anni ’80 e alla new wave.
La vera sorpresa, tuttavia, è l’elettronica piuttosto danzereccia di “There Used To Be A Darkness”, anche questa avente radici negli anni ’80.
The Golden Age Of Lowlands” è forse il pezzo più intimista e sofferto, e per questo davvero suggestivo.
In definitiva un disco che ha tratti di emozionalità e suggestività davvero notevoli, che se fosse stato un po’ più variegato e soprattutto più asciutto avrebbe potuto sfiorare l’eccellenza.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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