Ecco uscire il debut album di un gruppo nato... 31 anni fa!!
Si, si avete letto bene, questi
Lighting Strikes si sono formati nel lontano 1985, hanno pubblicato un 7" single e sono rimasti nel dimenticatoio, lontano dalle luci del Sunset Boulevard Californiano, sino a quando il former member/drummer
Karpis, deciso a ricostituire la band, ha ricontattato il bassista originale
Cat Tate e reclutato lo straordinario chitarrista
Rob Math (Leathrrwolf, Player) e il vocalist brasiliano
Nando Fernandes (Hangar), ha chiesto la collaborazione di
Derek Sherinian (Dream Theater, Kiss, Bonamassa) alle keyboards e del vocalist del calibro di
Tony Martin (Black Sabbath ) che canta su "
Death Valley" e
"301 AD Sin of Our Fathers"; anche
Noah, frontman dei giapponesi Avanchick, ha prestato la sua voce su un paio di pezzi.
Cigliegina sulla torta, l'album è stato mixato da Roy Z (JUDAS PRIEST, BRUCE DICKINSON, HELLOWEEN) e masterizzato da Maor Appelbaum (HALFORD, YNGWIE MALMSTEEN), cosa ci puo’ essere di più? Ma la musica, ovviamente, e anche qui i Nostri dimostrano di avere ottime capacità in termini di songwriting e di esecuzione, sugli scudi il singer Nando Fernandes (un novello Rj Dio) e il virtuoso Rob Math alle chitarre in grado di offrirci riff potenti e melodici, precisi e tecnici di sublime fattura. Il background musicale è assolutamente “old school” e rimanda in modo palese a bands quali
Rainbow e
Deep Purple, ma non c’è la minima traccia di emulazione qui, bensì una riproposizione fresca a graffiante del sound seventies-eighties che tanto ha dato al mondo del Metal e già dall’opener “
Victim”, l’urlo di Fernandes mette subito in chiaro cosa dobbiamo aspettarci dalle 11 tracce dell’album. L’inizio è scoppiettante, il tiro è veloce, le tastiere volano, la sezione ritmica roboante e subito si evidenziano le grandi abilità di axeman di Rob Math. La successiva “
Can’t Cross The Rainbow” è piu’ cadenzata e accellera nel chorus centrale accompagnato da un assolo di basso che apre ad una chitarra che letteralmente “vola” sui tasti, mentre in "
301 AD Sin of Our Fathers" come detto troviamo l’ex Sabbath Tony Martin alle vocals. La canzone inizia con un breve intro di tromba (!) per poi esplodere con una chitarra che detta un assolo prima di rallentare e lasciare spazio ad uno “spoken” che anticipa la linea melodica vera e propria nella quale spiccano le vocals acute di Martin ed il bridge con nuovamente la tromba e i solos delle tastiere e della chitarra, una canzone un pò atipica a dire il vero. Su binari più consoni al genere sono invece le successive “
Fear” e “
Death Valley”( quest’ultima con ancora Tony Martin al microfono ); la prima è una splendida power ballad che si muove su un tappeto chitarra/piano-keyboards ammaliante e impreziosita da un solo di Math a dir poco struggente per la sua intensità, mentre la seconda è un brano con un potente riff sul quale svetta l’ugola di Martin. Abbiamo anche una versione su arpa del tradizionale brano delle forze armate giapponesi “
Doki No Sakura” ( cantato in giapponese da Noah ) che apre a
“Kamikaze”, un mid tempo molto heavy caratterizzato dagli intrecci tastiere/chitarre, "
Stay With Me" e' un lento con una grande chitarra classica e delle vocals alla Coverdale, mentre “
Bermuda Triangle” ha un tipico riff ottantiano e vocals particolarmente potenti, “
Our Lady” è la riuscita cover dell’omonimo pezzo dei Deep Purple con delle vocals che rimandano a
Ian Gillan, chiude “
We Don’t Rock Alone” con un riff vagamente alla
Van Halen e che prosegue con un’ottima melodia con la solita prova superlativa alle sei corde.
Difficile sfornare un prodotto migliore, a mio avviso, in grado di riproporre il glorioso suono degli eighties con una freschezza invidiabile, con una prova strumentale da urlo, con melodie graffianti e riff rocciosi il tutto sorretto da vocals forti e potenti. Un prodotto che non offre nulla di nuovo ma che bisogno c’era di “novità” se il “passato classico” ritorna in modo così prorompente ? Da avere nella vostra collezione.