Le evoluzioni del Black Metal, che si sono dirette praticamente in ogni direzione, sono state, a mio avviso, una delle cose più interessanti che hanno caratterizzato la scena estrema mondiale negli ultimi decenni.
Partendo dal suono inventato in Norvegia nei primi anni '90, tralasciando il proto black della decade precedente, il metallo nero ha saputo inglobare nel suo ventre idee e soluzioni provenienti da ambiti anche molto distanti, garantendosi, in tal modo, una longevità ed una creatività che non mi pare abbia arriso ad altri generi.
In un contesto evolutivo di questa portata si inseriscono, direi con grande forza scardinante, gli olandesi
Laster giunti con
"Ons vrije fatum" alla loro seconda uscita discografica, sempre per Dunkelheit Produktionen come in occasione dell'esordio del 2014.
Rispetto al disco precedente, il già valido "De verste verte is hier", il gruppo mostra una notevole evoluzione e, soprattutto, una prorompente carica innovativa.
Se l'Ambient Black Metal resta la base di partenza, tutto il resto viene stravolto:
"Ons vrije fatum" è un album schizofrenico, imprevedibile, ricchissimo di sfumature differenti che lo portano a subire il fascino delle derive post nel suono, dissonante e stridente, delle chitarre, quello dell'Avantgarde nelle soluzioni di Sax, quasi inaspettate, e che lo conducono ad avere una anima oscura, al limite del dark se non, nell'uso moderato ma incisivo delle tastiere e dell'elettronica, della trance.
Del resto, i
Laster definiscono la loro proposta
"obscure dance music" e questa definizione, per quanto strampalata, risulta idonea ad inquadrare un suono altrimenti difficilmente incasellabile in un solo ambito.
"Ons vrije fatum" è un album dannatamente estremo, caratterizzato da vocalizzi acidi ai limiti del fastidio, da violentissime accelerazioni prive di "anima" come nel moderno post-black metal, ma anche da intrecci e raffinate soluzioni melodiche, strepitosi in questo senso il basso e certe soluzioni corali, che sorprendono perché calati, all'improvviso, in un contesto che non sembrava poterlo permettere.
I
Laster danno prova di essere degli abilissimi songwriters, scrivendo brani anche molto lunghi che però non annoiano e che cambiano costantemente registro sbattendo, come in un mare impetuoso, l'ascoltatore da una parte all'altra, dal Black, al Post Rock, dalla Darkwave all'Ambient, dall'Avantgarde alle soluzioni evocative, dal riffing spietato ai ritmi lounge, dal nulla al tutto, sempre danzando nella più buia oscurità.
Questo, signori miei, è un signor disco.
Certamente non un disco per i puristi, ma un disco per chi cerca musica di valore ma folle, perché i
Laster sono completamente folli.