Eravamo rimasti al debut di questo gruppo nel quale avevano tentato di sbigottire gli ascoltatori con un monumentale concept. Il risultato purtroppo non era stato dei migliori.
Tornano quindi con un secondo lavoro più misurato e più riuscito, principalmente per tre ragioni.
La prima è che la durata dei brani e dell'album è stata studiata con maggiore precisione. Per cui a pezzi lunghi e complicati come “
Nightlives” o “
Hope“, ne seguono altri più mid-tempos leggeri e di facile assimilazione, come appunto “
Freedom" o “
Promise“. Oltre a ciò, proprio nel mezzo del disco, viene proposta l'immancabile ballad a doppia voce che funge da spartiacque. “
Soulmates" infatti rende ancora più fluido e scorrevole l'ascolto del disco.
La seconda ragione verte sul fatto che se nel primo album i richiami ad altri gruppi come Pink Floyd, Dream Theater o Ayreon erano mal fatti, in questo nuovo lavoro il combo australiano abbandona l'idea della similitudine per tentare un approccio non convenzionale al progressive metal. La volontà c'è ed anche l'inventiva musicale e si sente in maniera egregia nel brano “
Lust”, perla del disco che con il sound pseudo-funky all'inizio confonde ma più va avanti più prende letteralmente il volo.
La terza ragione è relativa all'attenzione posta ai dettagli. La doppia voce ed i cori già con “
Before” acquistano fascino e particolarità e le linee vocali risultano melodiche e piacevoli. Questo aspetto perdurerà per tutto il disco fino alla suite finale.
Altro dettaglio sono le parti solistiche. In “
Lust” l'assolo di chitarra è stato studiato e sicuramente cambiato più e più volte, ma il risultato è perfetto nonostante il suono pulito lo faccia quasi passare inosservato.
In aggiunta a questo vi è l'aspetto relativo ai momenti più progressive e strumentali. Sono presenti nella maggior parte dei brani, ma l'inserimento è volutamente moderato, mai preponderante o inutilmente fine a se stesso e ben amalgamato fra basso, chitarra e tastiera come l'inizio di “
Hope". Insomma, funzionale al brano e volto ad aggiungere spessore. Come d'altra parte i cambi di ritmo con accelerate e rallentamenti permettono, nonostante i brani siano di media lunghezza, di godere dell'ascolto senza perdersi durante lo stesso.
Non mancano tuttavia aspetti meno di pregio. In primis vi è la sensazione di ascoltare le prove generali di un'opera, ma che la prima debba ancora essere data. Per quanto il suono ed il song-writing abbiano acquisito una personalizzazione maggiore, i richiami palesi ad altri gruppi rimangono e rendono meno marcato l'emergere dello stile.
Oltre ciò si ripete, seppur con minore impatto e solo a tratti, il voler raggiungere un obiettivo troppo superiore alla propria portata e finire per esagerare in peggio. Nello specifico penso alla suite finale “
Otherworldy” nata sicuramente per dare l'ultimo colpo maestoso e potente. Purtroppo se le intenzioni erano queste il risultato pecca di eccessiva ripetizione, povera fantasia e poca incisività, per non parlare del finale narrato.
Nel complesso quindi è un album che riporta il gruppo ad un livello molto più interessante di ascolto, aggiunge nuove prospettive e anche incoraggianti spunti. Sicuramente da considerare come un lavoro di transizione nell'attesa, speranzosa per sottoscritto, di un lavoro che segni ancora di più il loro personale sound.
A cura di Pasinato Giovanni