Per i
microClocks vale un po’ il principio della
Nutella e del
Crudo di Parma: eccezionali se presi singolarmente, (probabilmente) inaffrontabili se mangiati insieme. Erroneamente descritti come
“i Depeche Mode del futuro” (!?!), questi tedeschi provano a fondere new/dark wave, hard’n’heavy e musica elettronica con risultati spesso (ma non sempre) altalenanti.
L’introduzione morbida e dalle sonorità calde di
“Follow The…” sfocia nella teutonicissima
“…White Rabbit”, dal cantato puramente new wave e dalle chitarre “colpevolmente” in evidenza (per non parlare delle timbriche agghiaccianti) a discapito dell’elettronica. La titletrack aggiunge elementi pop/mainstream, l’incedere marziale ben contrasta con l’apertura del ritornello ma perde di credibilità al sopraggiungere dell’organo Hammond (come gli sarà venuto in mente rimane un mistero).
“Love’s End” ha qualcosa degli Hurts, e anticipa la semplice ma riuscita
“The Edge”, potenziale singolo caratterizzato dalla presenza “ingombrante” degli archi sintetici.
“Here I Am” parte come una ballad tradizionale per deviare verso lidi elettronici in maniera non proprio esemplare, mentre
“Life Is Grim” strizza l’occhio alla dark wave e brilla per l’elaborata sezione strumentale.
“Confession” ricorda i Pure Reason Revolution, e prelude all’elegante
“Nothing But A Thought”, sicuramente ispirata a
Martin Gore e soci.
“To A Friend” eredita l’irruenza del punk ma viene in parte soffocata dai sintetizzatori, e ci conduce alla conclusiva
“Raptor”, brano alla Rammstein che non sa proprio di “finalone”.
“Soon Before Sundown” vive di luci e ombre. Nonostante l’esperienza maturata dal combo (è attivo dal 2006) il sound, che in alcuni momenti risulta pure affascinante, non è ancora in grado di attirare pienamente l’attenzione. Cambierà qualcosa in futuro? Non sarei così ottimista…
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