Il vero valore aggiunto del progetto
Jimi Anderson Group è la voce di
Jimi Anderson. Punto. Questo cantante scozzese è in giro dal lontano 1978, e a sentirlo non si direbbe, tanto suona potente e presente la sua ugola.
Sì, è vero, le composizioni di
“Long Time Comin’” in fin dei conti ricalcano pedissequamente le orme dei vari
David Coverdale e
Ronnie James Dio (e in certi frangenti pure
Jon Bon Jovi e
Bryan Adams), ma bisogna riconoscere a
Jimi il merito di averci creduto abbastanza da produrre un discreto album di hard rock melodico per onnivori del genere.
Apre le danze la solare (e ruffiana quanto basta)
“Same Old Song”, dove il nostro si diverte a tributare la vocalità del sommo
Ronnie James. Il groove di
“Let’s Get Serious” anticipa la più pop e mainstream
“Spread It All Around”, comunque riuscita.
“Feel Like Letting Go” ha un ritornello molto simile a quello di
“Straight From The Heart” di un sopraccitato rocker canadese, e
“Better This Way” (la lacrimuccia scappa già dopo i primi venti secondi) non può non rimandare al medesimo cantautore.
“Welcome To The Revolution” è un episodio grintoso, che mostra il lato più scanzonato di
Jimi, mentre la successiva
“Higher Than Higher” aggiunge qualche lievissima (e non necessaria) sfumatura elettronica. La titletrack e
“Where Do We Go From Here” “puzzano” di Serpente Bianco lontano un chilometro (la seconda è un mezzo plagio di
“Here I Go Again”, pure nel titolo), contrastando con la più moderna (o meno nostalgica, fate voi)
“Necessary People”.
“Best For Me” è probabilmente l’anello debole del full-length (un filler insipido con le tastiere in evidenza vicino ai Rainbow degli Anni Ottanta) e prelude alla conclusiva e blueseggiante
“Oh Why”, dal refrain curioso ed elaborato nell’arrangiamento.
C’è chi non è fatto per essere originale a tutti i costi. E a volte può anche andare bene così…
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