L'unica incognita è il titolo, il resto (purtroppo o per fortuna) è una costante fissa anche per questo suo terzo concept a sfondo religioso (il soggetto stavolta è il tabernacolo, la biblica dimora di Dio e la caccia misteriosa alla ricerca della sua entità fisica e spirituale, il cui tema conduttore "After all with our backs against the wall we seek the temple of the living God" si ripete in più tracce) che nulla toglie e nulla aggiunge a chi già conosce l'intero percorso musicale dell'ex Spock's Beard. Un intro con effetti di vento, sussurri impercettibili, piano, voce e chitarra (non ho il booklet con i credits, ma a me sembra Roine Stolt, special guest con Jordan Rudess, Alan Morse e Steve Hackett) che apre la strada per la solita lunga parte strumentale tipica del "Morse style", mix di Spock's Beard e Dream Theater che sfocia nella melodia trainante di tutto il concept, un melodic pop rock corale ben supportato dal poderoso drumming di Portnoy, cosi' come la successiva "Another world" (che sa molto di "Snow", con basso e chitarre in grande evidenza), nella breve "The outsider" la voce di Morse è accompagnata dal suono di campane e chitarra acustica che sfuma sulla più sostenuta "Sweet elation", in cui si distingue su tutti il lavoro di Randy George al basso, per il resto si segnala un break centrale strumentale di tastiere e batteria (Dream Theater meet Spock's beard), su "In the fire" il plagio a "I' ve seen all good people" degli Yes è più che evidente (gli stessi impasti vocali). Immancabile poi arriva un'altra lunga parte strumentale hard-prog interrotta dal ritorno alla melodia stile Yes, nel finale il sax e le tastiere preparano l'atmosfera per la rockeggiante "Solid as the sun", melodica nel refrain ma con pesanti riffs di chitarra ed un interludio per solos di basso e sax (anche qui si respira aria di "Snow"), ed ecco ancora gli impasti vocali di "In the fire", altra parte strumentale e la breve operistica-ecclesiastica "Glory of the lord" (con tanto di cori da chiesa), "Outside looking in" è la solita ballad semi acustica intensa ed emozionale alla quale Morse ci ha abituato da tempo (coretti di controcanto, sottile orchestrazione ed uno struggente guitar solo), il brano è praticamente tutt'uno con "12" e sfrutta il controcanto dei cori mentre in sottofondo sfila il tema "After all ... ", ancora una parte strumentale piano-batteria a cui fa seguito un guitar solo ad opera di Steve Hackett (e c'è bisogno di dire altro? Il suo stile è inconfondibile dai tempi di "Horizon" e della mitica "Firth of fifth"), segue un'accelerazione di ritmo, un finale molto simile ad "Home" dei dream Theater ed ancora la chitarra di Hackett, piano e voce ancora per l'inizio di "Deliverance", brano che si anima nella seconda parte mostrando un'impronta prog rock con il ritorno del tema di "Sweet elation" e "After all...." (a dire il vero la musica andrebbe ascoltata con i testi, perchè qui si è vicini alla scoperta del tempio, Morse dice "I see a man with hair as white as wool, come he says, I have made the way, I'll be your guiding source, to the wickest ones I will give my strenght, and the lowest ones they will be brought higher, but I am afraid, I'll stay where I am, this fear takes my hand and gently leads me in, and I hear his voice again"). "Inside his presence" è un lento la cui struttura è simile a "Oh to feel him" ("Testimony"), la voce di Morse gradatamente raggiunge i toni più solenni e trionfali (il tempio è stato trovato, "The temple of living God is you, is not made of stone") accompagnata dall'adeguata atmosfera musicale (un doppio guitar solo finale in cui mi sembra di notare il ritorno di Roine Stolt) che serve ad unire la strumentale "The temple of the living God" (i Transatlantic di "Stranger in your soul"), con Morse che nel finale per l'ultima volta ripete "After all with our backs against the wall ..., your heart and everyone can be the temple of the living God", poi ancora rumori di vento ed effetti come di un disco fatto girare al contrario. Pur essendo un grande fan di Neal Morse, non posso negare che ho preferito "Testimony" e "one" a questo suo ultimo lavoro (troppo concept e troppi temi che si ripetono più volte), c'è comunque il solito gran lavoro di produzione oltre ad ospiti di riguardo, forse una rinfrescata di stile unita al fatto di non dover per forza essere legato a far uscire un disco all'anno (e sempre nello stesso periodo) lo farebbero uscire dai soliti schemi musicali e compositivi ormai abusati da tempo, riguardo il discorso religioso, ormai Morse è molto più legato alle chiese che ai palchi (lo dimostrano le varie letture, sermoni e concerti alle messe), rispettiamo quindi la sua scelta e teniamoci aggiornati sul sito www.nealmorse.com
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