Premetto dicendo che in questa sede parlerò solo di musica: non chiedetemi di entrare nel dettaglio dei testi della nuova saga ideata da
Lucassen (che comunque è un prequel della
“Forever/Planet Y Saga”) perché non lo farò (se
Gandy vuole dire la sua a riguardo tanto meglio).
Arjen Anthony Lucassen ogni tanto ci ricasca. È successo con
“Flight Of The Migrator” (da cui di fatto è scaturito il progetto Star One), è risuccesso con
“01011001” (e lì ci si è messa la vicenda personale dell’olandese) e dato che “non c’è due senza tre” capita nuovamente con questo
“The Source”.
“Ma di cosa cavolo starà parlando il Gab?” vi starete, a ragione, chiedendo.
Il
mio peccato originale è quello di essere un fan del “Lucassen progressivo” più che del “Lucassen metallaro” (nonostante consideri i due volumi a nome Star One due gioiellini) e dagli
Ayreon io mi aspetto che l’ago della bilancia propenda verso il primo
Lucassen. Certo, il cast faceva presagire una direzione stilistica abbastanza precisa, ma alle
mie orecchie la nuova rock opera del mastermind di Hilversum suona troppo come un terzo album dei sopraccitati Star One.
“The Theory Of Everything”, per stessa ammissione del compositore, è stato il suo “album prog” e le vendite, sempre per sua stessa ammissione, non gli hanno dato ragione (motivo per il quale
InsideOut Music non si è fatta troppi scrupoli a “cederlo” alla sempre più agguerrita
Mascot, come avrete sicuramente colto dall’
intervista).
“The Source” va invece sul sicuro dalla prima all’ultima nota, con cantanti (mercenari?) collaudati, ormai da anni “sempre gli stessi” (ci mancava pure
Tobias Sammet), e chitarroni heavy in primo piano a discapito delle (solitamente e piacevolmente) onnipresenti tastiere dal sapore vintage.
“The Source” convince quando ha coraggio: convince quando
Michael Mills ha carta bianca (il coro
“0/1” di
“The Day That The World Breaks Down”, i richiami queeniani di
“Run! Apocalypse! Run!” o di
“Aquatic Race”); convince quando punta su toni più rilassati (
“Sea Of Machines”,
“All That Was”, gli echi pinkfloydiani di
“The Source Will Flow”) o sulla classe di certi guest (il clamoroso solo di
Govan in
“Planet Y Is Alive!” o la magia di
Mark Kelly su
“The Dream Dissolves”); convince quando non ha paura di guardare con orgoglio e senza nostalgia al passato (l’hammond alla ELP di
“Everybody Dies”, i toni alla
Jarre di
“Bay Of Dreams”).
Allo stesso modo però
“The Source” convince meno quando si affida a soluzioni troppo “facili”: convince meno quando si autocita (
“The Day That…”, all’ingresso di
Allen, fa il verso ad
“Amazing Flight In Space”,
“Into The Ocean”, dal piglio purpleiano, è molto simile a
“Sandrider”,
“The Human Compulsion” rimanda esplicitamente al finale di
“The Human Equation” - anche se probabilmente è voluto - e l’elenco potrebbe proseguire); convince meno quando vuole suonare “cattivo” a tutti i costi (penso alla seconda metà di
“Condemned To Live” o al break killer della sopraccitata
“The Dream Dissolves” - ma anche qui gli esempi potrebbero essere molteplici); convince meno quando, nonostante il coraggio di cui sopra, strizza l’occhio a sonorità che non gli competono (l’heavy-folk di
“Deathcry Of A Race”, un po’ lirico, un po’ oriental).
La prova complessivamente è discreta, ma non è “il capolavoro” che mi sarei aspettato da un album marchiato
Ayreon. Stavolta, ahimè, il fan (un po’ deluso) ha vinto sul critico (che dovrebbe essere oggettivo a prescindere): se volete crocifiggermi per questo fate pure…