Digir Gidim - I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening

Copertina 6

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2017
Durata:47 min.
Etichetta:Aeternitas Tenebrarum Musicae Fundamentum

Tracklist

  1. THE REVELATION OF THE WANDERING
  2. CONVERSING WITH THE ETHEREAL
  3. THE GLOW INSIDE THE SHELL
  4. THE EYE LOOKS THROUGH THE VEILS OF UNCONSCIOUSNE

Line up

  • Lalartu: vocals
  • Utanapištim Ziusudra: all instruments

Voto medio utenti

Avevo conosciuto Lalartu in occasione del suo solo project Titaan e lo ritrovo oggi, in veste di vocalist, nei misteriosi Digir Gidim, band del poli strumentista Utanapištim Ziusudra, che esordiscono, su ATMF, con "I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening" un album di quello che possiamo classificare come occult black metal.
Al pari dei Titaan anche i Digir Gidim, dal punto di vista tematico, si rifanno alla mitologia mesopotamica ed anche loro, come i "cugini", hanno un approccio che definiscono avantgarde alla materia che suonano.
In realtà, durante l'ascolto dei quattro lunghissimi brani che compongono il debut, io di avantgarde ho trovato molto poco: il gruppo, invece, ci offre musica estrema, molto ostica vista l'esasperante lunghezza delle composizioni (sempre sopra i dieci minuti), caratterizzata da riff di chitarra molto freddi ed oscuri, una batteria elettronica i cui suoni conferiscono una atmosfera ancora più gelida al tutto, inserti corali dal sapore "esoterico" ed antico, scream indiavolato e tanta velocità.
Insomma, tolte le intenzioni, tolte le tematiche affascinanti e tolta qualche partitura interessante a livello atmosferico, quello che resta è un black metal piuttosto feroce ma scontato che, a mio parere, avrebbe giovato di una produzione più "piena" e di un uso maggiore degli elementi ritualistici al fine di risultare davvero affascinante e non incline alla noia.
Al netto di quanto appena detto, "I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening" è un album comunque da ascoltare perchè i semi di un futuro più roseo per il gruppo sono stati già piantati.
Recensione a cura di Beppe 'dopecity' Caldarone

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