Certi artisti sono come il buon vino: con il passare del tempo migliorano (e non sembra nemmeno che invecchino). Lasciate stare che a dirvelo sia un astemio (ebbene sì), e concentriamoci invece su questo nuovo, immenso lavoro di
Steve Hackett, chitarrista che non ha certo bisogno di presentazioni di rito.
“The Night Siren” prende il prog rock, lo contamina di musica classica e di world music (con l’apporto di musicisti di prima scelta) e da’ vita a un sound unico, moderno, più “orecchiabile” di quanto fatto da
Peter Gabriel nel recente passato e meno “autocelebrativo” degli ultimi album solisti di
Tony Banks (giusto per rimanere in tema Genesis). Il concept di fondo? La pace, quella “vera” in cui non crede più nessuno, se non il chitarrista britannico che prova a dare una speranza con la propria incredibile musica…
L’introduttiva
“Behind The Smoke” è già tutto un programma: elegante, dall’incedere kashmiriano (come già correttamente evidenziato da qualcuno), con i suoi inserti contrappuntistici/sinfonici di natura colta. Salute.
“Martian Sea” è “easy” e spiazzante, con le sue sonorità hippie e lisergiche, e il sitar in evidenza.
“Fifty Miles From The North Pole” è un universo concentrato in sette minuti: incipit alla Depeche Mode, linee vocali dai connotati gilmouriani, archi che ricordano i Beatles, la tromba con sordina di
Ferenc Kovács (chapeau) e un solo dalle tinte heavy di
Hackett. Non c’è calo di tensione nemmeno con la successiva
“El Niño”, traccia strumentale dall’enigmatica introduzione d’archi (un po’
“The War Of The Worlds”) e il nervoso groove batteristico su cui si staglia l’inconfondibile chitarra dell’inglese. L’acustica
“Other Side Of The Wall” ricorda distintamente gli indimenticati Genesis e anticipa la poppeggiante
“Anything But Love”, con
Hackett impegnato a suonare flamenco. Intrecci vocali, sonorità bucoliche, echi di Yes, Jethro Tull e di
“Unquiet Slumbers For The Sleepers In That Quiet Earth” caratterizzano
“Inca Terra”, prima di
“In Another Life”, per metà brano “scippato” a
Ian Anderson e soci e per metà incalzante, groovy ed elettrico (in coda si segnala il buon solo di
Troy Donockley dei Nightwish).
“In The Skeleton Gallery” ha tratti apocalittici, con l’ottimo
Rob Townsend ai fiati e arrangiamenti a cavallo tra musica bandistica e hard-prog. La chiusura “vera e propria” è lasciata a
“West To East”, che riprende temi e caratteri di
“Behind The Smoke” con un piglio decisamente più conclusivo e risolutivo, e atmosfere epiche e corali tanto care ai Genesis dell’era classica.
Hackett ci saluta con la struggente
“The Gift”, tre minuti commoventi lasciati all’orchestra e alla sua chitarra.
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