Cominciamo la disamina di quest’album degli
House Of Lords in una maniera un po’ “anomala” … compiacendosi per la presenza di
Michele Luppi - e nel ruolo che fu del divino
Gregg Giuffria - in “
Harlequin”, a ulteriore conferma del doveroso riconoscimento delle qualità di un cantante e musicista di sicura caratura “internazionale” (come ben sanno i suoi tanti estimatori, tra cui il sottoscritto!).
Una volta evidenziata “un’ospitata” densa di significato, si può passare, avvinti dal consueto misto di fiducia e apprensione, ad affrontare i contenuti di “
Saint of the lost souls”, il nuovo lavoro di uno dei miei gruppi preferiti fin dai tempi in cui
Gene Simmons assecondò le straordinarie virtù di un (ex)
Angelico tastierista appena “scaricato” dalla MCA (dopo i risultati commerciali deludenti di “
Silk + steel” ... disco e titolo eccezionali, peraltro ...), proponendogli di costituire sulle ceneri dei suoi
Giuffria una nuova formazione dalla regale denominazione.
Il disco è ancora una volta di pregevole fattura, leggermente inferiore per incisività espressiva e interpretativa ai suoi predecessori più recenti e tuttavia nell'insieme degno di un blasone tanto aristocratico.
L’efficace pomposità (appena un pizzico “caricaturale”, se vogliamo proprio essere pignoli ...) della suddetta
opener lascia spazio alle graziose atmosfere “adulte” di “
Oceans divide” e “
Hit the wall”, mentre alla
title-track dell’opera è affidato il compito di riportare il tracciato sonoro su sentieri maggiormente coriacei ed enfatici, consentendo all’astante di valutare positivamente la prova del
team nella sua interezza, nonostante un lieve appannamento nell’intensità dell’ugola comunque sempre molto “educata” di
James Christian.
Un brano screziato di leziosità come “
The sun will never set again” (tra Def Leppard e Chicago …) non rende piena giustizia alla “storia” dei
Lords dell’
hard melodico statunitense e anche le successive “
Never day breakin'” e “
Reign of fire”, pur superiori, occultano minuscole schegge di manierismo armonico, una “roba” che non dovrebbe nemmeno “sfiorare” l’animo artistico di questi nobili manipolatori di note.
Meglio di loro fanno poi lo
charme Whitesnake-
iano di “
Concussion” e la cangiante “
Art of letting go”, e dopo un’altra piccola pausa emotiva cagionata dalla solennità posticcia di “
Grains of sand”, è la conclusiva “
The other option” a garantire nuovamente un’adeguata “scossa” sensoriale, esibendo quella classe cristallina per cui la
band è nota in tutto il globo terracqueo.
Anche se contraddistinto da un tasso d’ispirazione un po’ incostante, “
Saint of the lost souls” si rivela un ascolto piuttosto godibile e appagante ... è mia opinione che dagli
House Of Lords si possa e si debba pretendere qualcosa di più, ma vederli continuare a produrre musica ad alto livello, per noi “devoti” della prima ora, è sempre motivo di grande conforto.
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