Nonostante la ormai considerevole militanza
rockofila, il
business discografico continua a sorprendermi, e non sempre in positivo. Com’è possibile che un gruppo come i
Black Paisley debba pubblicare il suo nuovo
album in maniera indipendente? Perché nessuna
label ha saputo patrocinare uno dei dischi più intriganti del 2020 in fatto di
classic rock?
Veramente difficile trovare una spiegazione plausibile, e una volta superata la stizza, al sottoscritto non rimane che provare a sensibilizzare l’attento pubblico dei
Gloriosi sulle spiccate qualità degli svedesi, splendidi transcodificatori nordici di quella immarcescibile tradizione musicale anglosassone che vede mescolato
hard,
blues, s
outhern,
country e
AOR.
Con l’ingresso del chitarrista
Franco Santunione (ex Electric Boys) e l’estromissione delle tastiere, gli scandinavi acquisiscono in questo “
Rambler” un pizzico di maggiore incisività, mentre continua a stupire la classe e la disinvoltura con cui viene trattata una “materia” talmente collaudata da rischiare costantemente l’effetto “parodia”.
Pilotate dalla voce piena e pastosa di
Stefan Blomqvist le otto canzoni dell’albo si rivelano invece un autentico concentrato di sonorità “vecchio stile”, intrise però di quel
quid che separa la brillante ispirazione dalla sterile “falsificazione”.
Così, ecco che ritrovare il gergo espressivo di Whitesnake (“
Higher love”), Thunder e Bad Company (“
Without us”, con il suo
refrain da contagio immediato),
Gary Moore (“
Falling”), Thin Lizzy (“
Take me to the river”), 38 Special e ZZ Top (“
Damned”, “
Timeless child”, “
Give it up”) e Cheap Trick (la scanzonata “
Save the best”) non si trasforma mai in un fastidioso
déjà entendu ma diventa la vivida testimonianza di come influenze tanto prestigiose e riconoscibili si possano assimilare in modo assolutamente vitale e appagante.
Ascoltate tutto d’un fiato i trentadue minuti di “
Rambler” e sono sicuro che anche voi li considererete la conferma incontestabile del notevole valore artistico dei
Black Paisley, una
band che non può proprio rischiare di finire fagocitata dalle sgomitanti e spesso poco meritocratiche convulsioni del
rockrama contemporaneo.
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