Fuori piove a dirotto, una nebbiolina sinistra improvvisamente avvolge la mia dimora montana e i lampi illuminano a sprazzi la stanza … a commentare adeguatamente un’atmosfera suggestiva e ben poco primaverile, “
Twiceman”, un impressionante grumo di
psych-doom, che in oltre tredici minuti di musica stordisce, inquieta e affascina in maniera veramente potente e profonda.
Basta un ascolto all’intero “
Superbeast” per rendersi conto che il brano appena citato non è una fortunosa “anomalia” e che anche il resto del programma pone l’esordio dei
Megatherium tra le migliori uscite recenti in fatto di
rock oscuro, pesante e allucinogeno.
Contribuire in maniera creativa e credibile a una categoria artistica “rigorosa” come questa non è mai un’impresa facile e se i veronesi riescono nell’intento è soprattutto grazie alla loro notevole cultura e a importanti trascorsi più o meno “underground” (nel
curriculum del gruppo ci sono Aneurysm, Gen Marrone, Elicotrema, Mr. Wilson e Tokio Conspiracy), fondamentali, credo, per mescolare Black Sabbath, Electric Wizard, The Melvins, Saint Vitus, Sleep e Cathedral non limitandosi, come spesso accade, a una rilettura “precisa” e magari un po’ sterile delle fonti ispirative.
Nel
sound dei
Megatherium ci sono i
riff cavernosi, le digressioni lisergiche e le massicce pulsazioni ipnotiche, e cioè gli ingredienti indispensabili ad attrarre un sostenitore del settore, ma il tutto è trattato con una giusta dose di eclettismo e temperamento, tanto da lasciar trasparire segnali evidenti di un’alterazione stilistica che, pur senza “rivoluzionare” il genere, è in grado in qualche modo di superarne i rigidi schematismi.
Piace, in questo senso, l’uso, sebbene abbastanza sporadico, degli effetti elettronici e la voce di
Manuele, capace di accompagnare molto efficacemente l’astante in quest’universo immerso in un vortice di acido, frustrazione e redenzione.
Nell’albo troverete dunque anche i monoliti morbosi e rumorosi “
Refuse to shine” e “
Fly high”, la melodia magnetica e abissale di “
Ghost of the ocean”, le bordate Sabbath-
iane di “
Cleveland (Is far from here)” e le traiettorie orbitali di ”
The wolf and the deer”.
La litania tormentata e algida di “
Grey line” mette in evidenza un altro momento di livello superiore, mentre le scorie di mortifero
grunge/blues rilevabili in “
Betrayers, everywhere!” e nella appena meno opprimente “
Slow down” aggiungono ulteriori diversioni a un “viaggio” sonico che si conclude nelle cupe distorsioni trascendentali di “
Retrosky”, collocate a sigillo di un’opera che dispensa più di un motivo d’interesse e garantisce ai suoi autori tutta l’attenzione riservata agli “emergenti” di grande prospettiva.
Ah, per la cronaca e a scanso d’equivoci, ho verificato … il disco “funziona” egregiamente anche nelle giornate di sole …
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