Quando ti appresti ad ascoltare un nuovo album degli
Ulver non sai mai a cosa potrai andare incontro. Parlare di evoluzione per il quartetto norvegese è riduttivo! Quest’ultima sicuramente c’è stata, dagli esordi black metal ci si è spostati verso qualcosa di completamente diverso, tanto che più di qualcuno si è chiesto se non sarebbe stato meglio cambiare nome, vista l’enorme differenza stilistica rispetto ai primi lavori, e ancora, i metallari più integerrimi hanno gridato allo scandalo e al tradimento, voltando le spalle al combo di Oslo. Io non sono d’accordo invece, perché anche nei primordiali dischi black si intuiva che non eravamo davanti alla solita band norvegese. Il loro approccio era già allora personale e particolare, e si intuiva che prima o poi si sarebbero spostati verso nuovi lidi. Il problema è che più che spostarsi verso nuovi lidi gli
Ulver hanno deciso proprio di imbarcarsi nell’oceano sconfinato, vagando senza una meta fissa. E il loro navigare è talmente libero che a differenza di altri loro colleghi non seguono una rotta, ma gironzolano a zonzo, per cui ogni disco è differente dall’altro, e c’è alternanza tra quelli più elettronici e quelli più sperimentali.
Dopo l’ottimo “
Messe I.X-VI.X”, un vero e proprio capolavoro di musica contemporanea, i nostri non sono stati certo con le mani in mano, e hanno dato alla luce altri due album, “
ATGCLVLSSCAP”, che risentiva ancora della sperimentazione figlia della collaborazione con i Sunn O))), e “
Riverhead” (colonna sonora del film omonimo), entrambi del 2016, prima di pubblicare questo nuovo “
The assassination of Julius Caesar (il titolo fa riferimento alle tragedie romane, dalle quali i nostri prendono ispirazione, pur rimaneggiandole in chiave moderna). Non si può certo dire che ai nostri manchi l’ispirazione, tutt’altro, così come non si può negare che, a differenza di quanto spesso accade quando si pubblicano troppi dischi a distanza di pochi mesi, il livello resti sempre assolutamente alto.
Come dobbiamo approcciarci, quindi, per ascoltare questo nuovo lavoro? Semplicemente, secondo me, tenendo presente che si tratta di un album degli
Ulver, per cui premiamo play e lasciamoci trasportare in questo nuovo viaggio… La cosa che salta alle orecchie innanzitutto è la volontà dei nostri di costruire dei brani più snelli ed accessibili, per quanto questi aggettivi possano essere usati per la loro musica. Poche divagazioni verso l’industrial, quindi, e più punti di contatto con una certa wave anni ’80. Pur se sempre con il proprio marchio di fabbrica ben in evidenza, non sarà difficile trovare durante l’ascolto sonorità che potranno portarvi alla mente i Japan, i Depeche Mode, e perfino i Tears For Fears (in questo sicuramente un grande aiuto è stato dato dalla produzione di
Martin “Youth” Glover dei Killing Joke, oltre che da un massiccio uso dei sintetizzatori), questo per sottolineare quanto la ricerca questa volta sia stata spinta al raggiungimento della forma canzone, esperimento non certo facile quando si spazia così tanto come nel caso degli
Ulver. Inutile rimarcare che il risultato raggiunto è eccellente, grazie anche alle vocals di
Kristoffer Rygg, pulite, ispirate, morbide, in linea con quanto proposto…
L’unica eccezione rispetto a quanto scritto fin’ora è la conclusiva “
Coming home, che fa un po’ storia a sé, in quanto lo spirito oscuro dei nostri torna a fare capolino, accompagnato da quella voglia mai sopita di sperimentare. Ecco quindi sintetizzatori e sax distorti, vocals più criptiche, sonorità più disturbanti, ecco quindi gli
Ulver che meglio conosciamo e che meglio abbiamo apprezzato. Ma, ripeto, è un capitolo a sé, che quasi nulla ha a che vedere con il resto dei brani, ulteriore riprova dell’anarchia sonora che guida le composizioni dei nostri, del tutto incuranti di chiunque si aspetti una cosa in particolare dalla loro musica, siano questi fans, DJ, produttori, discografici o quant’altro…
In definitiva, se avete amato la svolta stilistica della band negli ultimi (quasi) venti anni non rimarrete di certo delusi da questo nuovo album, tutt’altro. E se scherzosamente qualcuno parla di pop riferendosi a questo disco, state pure tranquilli, non corriamo certo il rischio di ritrovarci gli
Ulver in classifica al fianco di feccia come Justin Bieber.