Inutile girarci attorno … il prestigioso albero genealogico di
Thomas Hand Chaste e
Alexander Scardavian, a cui si aggiunge quello di
Claud Galley (presente in due brani) e del compianto
Sanctis Ghoram (sua la voce campionata in nella
title-track dell’albo) ingolosirà sicuramente i tanti estimatori di Death SS,
Paul Chain,
Steve Sylvester e Violet Theatre, mentre dovrebbero essere sufficienti le prove più recenti di
Thomas con i Witchfield e di
Alexander con gli Strange Here per avvicinarsi ai
Where the Sun Comes Down con molte aspettative.
“
Welcome”, analogamente a “
Sabbatai Zevi” e “
Strange Here II”, non è per nulla un modo “facile” per rivangare la storia del
dark sound italico, magari nel tentativo di accalappiare qualche inguaribile nostalgico, ma è l’ennesima dimostrazione di come gli insegnamenti di quei
Maestri siano stati splendidamente metabolizzati da una generazione di
Allievi oggi pienamente “maturi” e capaci di restituirceli trasfigurati, senza per questo disperderne la nobile riconoscibilità.
Una visione ampia, allucinata e suggestiva dei luoghi dove il “
sole tramonta”, insomma, dove
doom e
psichedelia si combinano in una vertigine di torbida fascinazione, tra tensioni cosmiche, l’ipnotica e misurata forza del
groove e un canto che pare emergere da uno zampillante crogiolo d’inquietudine.
Apertura affidata a “
Mister lie” che con il suo passo ossessivo, disperato, istoriato di effluvi lisergici, schiude le porte a un perturbante universo cupo e acre, in cui anche la neve, vedasi la successiva “
Snowin' day”, assume colorazioni nere e verdastre e si posa con inusitata pesantezza su fondali insondabili e foschi, mentre l’organo sottolinea ambientazioni quasi liturgiche e il
sax squarcia le tenebre alla maniera di un certo
Clive Jones.
Le cadenze orbitali e ieratiche di “
Voyage” (grande pezzo!) accentuano il senso pernicioso e rituale del “viaggio” sonoro, “
Myself” è una litania slabbrata e angosciosa e “
Welcome” è una mefitica sospensione gassosa fatta di cupe distorsioni e voci aliene, specchio deformato di un “altromondo” sinistro e straordinariamente attraente.
La malinconica afflizione di “
Because we were fools” s’insinua sotto la pelle come uno strano parassita che profonde energie emotive e alla straniante “
Where the sun comes down” è affidato il compito di officiare il rito conclusivo, pregno di sussurri elettronici, chitarre fumiganti di zolfo e di un evocativo e agghiacciante sguardo dritto al centro dell’abisso.
“
Welcome” è un disco potente, visionario, inquietante. Chiamatelo pure una “lezione di stile”, se preferite.
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