Piccolo preambolo.
Per uno come me, che con questa band c'è cresciuto, che li ha prima amati, poi discussi, che ne ha seguito le sorti prima passionalmente poi quasi nauseato da tante storyline degne di Beautiful, i VERI
Rhapsody non esistono più.
Ci sono due band, una di
Luca Turilli e l'altra di
Alex Staropoli, ma nessuna dei due nonostante i monicker sono i veri Rhapsody, mi spiace.
E poi c'è
Fabio Lione che ha salutato tutti, lasciando il proprio ruolo a
Giacomo Voli, a cui è stato a mio avviso riservato il compito più arduo, ovvero quello di reinterpretare brani che ci hanno accompagnato in questi lunghi 20 anni, che abbiamo imparato a memoria, di cui abbiamo cantato a squarciagola i ritornelli, abituati ad ascoltare la voce di Lione come fosse il Padre Nostro, con QUEI suoni, con QUELLA produzione.
Le operazioni di ri-registrazione dei vecchi brani solitamente non portano a nulla di buono, l'effetto nostalgia è troppo, troppo accentuato e non si riesce a distaccarsi oggettivamente da un qualcosa che ormai fa parte di noi stessi.
L'unica cosa buona di questo "
Legendary Years" è il trovarsi dopo soli tre brani a chiedersi "
ma che razza di brani meravigliosi scrivevano i Rhapsody??? ma come facevano???" e ripetere questo mantra ogni 15/20 minuti, fino al termine dei 74 minuti che danno forma a questa scorribanda nella vita dei Rhapsody, oggi basati unicamente sulla figura di Alex Staropoli, peraltro l'unico che non ha voluto partecipare all'operazione Rhapsody Reunion per festeggiare con un tour mondiale il ventennale di "Legendary Tales".
Il punto caldo di tutta questa riregistrazione è senza dubbio "
com'è Voli??" La mia risposta non sarà diplomatica ma sincera: non regge il passo con Lione.
Ovviamente è bravo a cantare, ci mancherebbe, ma trovo la sua voce troppo esile per i brani dei Rhapsody, perlomeno per quelli vecchi.
Basti ascoltare le strofe di "
Land of Immortals" in cui non riesce a dare quella profondità, quel vigore, quell'intensità che a Lione già nel 1997 veniva così naturale e spontaneo. In qualche brano, come questo perlappunto o la ballad "
Wings of Destiny" in cui è palese che "manchi qualcosa", l'effetto è molto accentuato, in altri la disparità si fa minore ("
Holy Thunderforce" tra le migliori!) ma in generale si ha l'impressione che i Rhapsody abbiano solo trovato un buon cantante e non IL cantante che in maniera unica ha saputo interpretare quei testi.
Della tracklist poco si può criticare, il periodo scelto dalla band va dal primo disco al meraviglioso "
Power of the Dragonflame" del 2002, di cui al massimo mi cruccio che siano state estratti solamente due brani, ma per il resto si pesca in un repertorio assolutamente di eccellenza; magari tralasciare una "
Dark Tower of Abyss" per una più fresca e veloce "
Steelgods Of The Last Apocalypse, "
The Pride Of The Tyrant" o "
Rage of the Winter", ma sono quisquilie. La produzione invece, per quanto brillante e piuttosto fedele all'originale, perde un po' in potenza ed ignoranza, contribuendo insieme alla timbrica più asettica di Voli ad alleggerire troppo il carico di brani che invece di potenza ne avrebbero in abbondanza.
Purtroppo alla luce di millemila ascolti, questo "
Legendary Years" non riesce a decollare, non restituisce fulgore a questa incarnazione dei Rhapsody; perdipiù, essendo stato pubblicato a se' stante, risulta un'operazione fin troppo gravosa per Voli, che senza dubbio avrebbe figurato meglio in brani nuovi, scritti con e per lui, magari allegando questo come bonus per accrescere la curiosità e l'hype attorno alla nuova incarnazione della band: messa così è "solo" una curiosità che viene presto spenta da un paragone che non ha senso di esistere.
Che dire? Vista la deriva ahimè hollywoodiana presa da Luca Turilli personalmente continuo a confidare nella parte più "metallosa" di Staropoli e nell'ascoltare un Voli più corposo ed intenso nel prossimo disco dei Rhapsody of Fire ma "Legendary Years" al momento è solo un piacevole e nostalgico viaggio nel passato, un passato che però ci fa un po' rimpiangere il presente...
Non ci resta che sperare nel prossimo futuro.