A tre anni di distanza dal precedente “
Sunset on the golden age” tornano con un nuovo album in studio gli
Alestorm, i bucanieri più famosi del metal. Licenziato dalla
Napalm Records, “
No grave but the sea” è il quinto album della band scozzese in dieci anni di carriera. Se da un lato va sottolineata la creatività del gruppo, che sforna un album ogni due anni, in media, dall’altro ti vien da pensare che forse fare le cose con più calma permetterebbe ai nostri di poter differenziare un minimo di più la loro proposta, per evitare di cadere nella ripetitività. Certo, nessuno si aspetterebbe grandi cambiamenti da loro, però arrivati ormai alla quinta fatica in studio, la zuppa inizia a risultare un po’ indigesta.
Capiamoci, “
No grave but the sea” non è affatto un brutto album, tutt’altro. Formalmente non c’è nulla da rimproverare al quintetto, salvo forse le sonorità spiccatamente metalcore di “
Alestorm”, che cozzano pesantemente con tutto quanto proposto fin’ora e anche in questo disco. Il problema è che dopo dieci anni in cui i nostri hanno narrato di scorrerie e di assalti ai galeoni, condendo il tutto con cori da arrembaggio, la proposta inizia a diventare un po’ stantia, inizia a perdere quella freschezza che poteva avere ai tempi di “
Captain Morgan revenge” o “
Over the sea”, giusto per citarne un paio. Parte di questo può essere attribuito ai frequenti cambi di formazione che hanno visto il solo
Chris Bowes portare avanti la nave? Non saprei dirlo, potrebbe essere, ma indipendentemente dal motivo, un lieve calo compositivo resta un dato di fatto.
Diciamo che l’album assolve al suo ruolo, e cioè quello di far divertire chi lo ascolta, però al tempo stesso non lascia molto altro, non c’è una nuova hit che ti trapana il cervello, e sono quasi sicuro che nel giro di poco tempo non se lo filerà più nessuno, mentre la stessa cosa non è successa a dischi come l’esordio, ad esempio. E anche le parti più piratesche e caciarone sanno un po’ di forzato, visto che manca, come già detto qualche rigo fa, quella freschezza che unita ad una certa spontaneità faceva la differenza a inizio carriera.
Per dovere di cronaca voglio in ogni caso segnalarvi quelli che a mio avviso sono i brani migliori del lotto e che forse potranno distinguersi un minimo dagli altri, e cioè la scanzonata “
Fucked with an anchor”, le epiche “
To the end of the world” e “
Man the pumps”, e la lunga (ben otto minuti) e conclusiva “
Treasure island”, forse la migliore del lotto, un brano completo, che riesce a far rivivere i fasti di un tempo. “
No grave but the sea” lo vedo come un album di transizione, non proprio un mezzo passo falso ma quasi, e la speranza è che dal prossimo disco gli
Alestorm possano tornare ad essere quelli di una volta, quelli che grazie ai loro brani ci hanno fatto riappassionare di pirati, bucanieri, galeoni e botti di rhum…
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