Partiamo dal presupposto che i
Nickelback sono un gruppo che divide. Per alcuni sono un’ottima band che ha saputo modernizzare e “metallizzare” l’hard rock/post grunge. Per altri sono un mero prodotto discografico, che si propone di strizzare l’occhio un po’ ai cattivoni metallari e un po’ al popolo pop.
Al sottoscritto di tutte queste diatribe non frega nulla. Solitamente ascolto un disco se mi piace, indipendentemente dalla presunta etichetta che ci si potrebbe appiccicare sopra. E i
Nickelback di
“Silver Side Up”, “Long Road” e
“All The Right Reasons” mi sono piaciuti parecchio. I successivi
“Dark Horse”, “Here And Now” e
“No Fixed Address” – pur sorretti sempre da una produzione impressionante – non mi erano piaciuti granché, un po’ ripetitivi e – più in generale – sottotono.
Accantonate le piuttosto ardite divagazioni pop di
“No Fixed Address”, i
Nickelback tornano con
“Feed The Machine” al loro sound più tipico. Al solito la resa sonora del platter è curatissima ma attenzione, oggi più che mai i
Nickelback giocano a fare i duri senza affondare mai veramente i colpi. Ecco quindi che le chitarre gigantesche non sono mai realmente “maleducate”, ed ecco che, spesso, alla batteria dell’ottimo
Daniel Adair si sovrappone una batteria campionata che arricchisce ulteriormente il sound della band, portandolo al tempo stesso in territori più pop. Sopra a tutto, come al solito, la splendida voce di
Chad Kroeger (per il sottoscritto vale sempre mezzo voto in più).
Una delle principali novità del disco sono gli assoli di chitarra, presenti in quasi tutti i brani del disco (a memoria ne ricordo pochissimi nei dischi precedenti). Nel disco c’è più o meno tutto quello che vi aspettate da un disco dei
Nickelback. Si veda il trittico iniziale che contiene l’opener trascinante (la titletrack
“Feed The Machine”), il pezzo da stadio (
“Coin For The Ferryman”), la ballatona (
“Song On Fire”). Ma, nel corso del disco, ci sono anche un paio di pezzi che mi hanno sorpreso e sono le due
“The Betrayal” (
“Act I” e
“Act III”, il
“II” non so che fine abbia fatto).
“Act III” è un pezzo veramente rabbioso, probabilmente il più metal scritto dai
Nickelback nella loro carriera.
“Act I” è un brano acustico senza voce, davvero inaspettato.
Insomma, come probabilmente si è già detto in occasione di altri dischi dei
Nickelback “non gridiamo al miracolo, ma ci godiamo un buon disco”.
A cura di Paolo “Pera” Perazzani
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