Sono passati solo tre anni dal precedente “
R.I.B.” ed ecco che i manovalanti del teutonic thrash metal tornano a colpire. Manovalanti in senso buono, ovviamente, ad indicare l’indefessa costanza con la quale da ben 35 anni continuano ad andare per la loro strada e a sfornare album di rilievo, incuranti del fatto che non riusciranno mai, per motivi a me poco chiari, ad eguagliare il successo della Sacra Triade, all’ombra della quale sono sempre rimasti e, evidentemente, sempre rimarranno, nonostante una carriera decisamente meno altalenante, sia dal punto di vista della line up che da quello stilistico.
Diciassette dischi sono qui a dimostrare che chi lavora con onestà e dedizione alla causa, qualche risultato a casa lo riesce a portare eccome. E non potrebbe essere diversamente visto che dal loro primo e pioneristico album “
Zombie attack” (1986) di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma i nostri sono ancora qui a pestare duro e a girare il mondo con un’umiltà e una simpatia che pochi loro colleghi possono vantare.
Dieci i brani che compongono l’album, e vi dico fin da ora che pur non presentando veri e propri pezzi da 90, al tempo stesso non sono presenti filler. Il disco scorre liscio fino alla fine e riesce a mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore grazie ad un songwriting ormai consolidato ma sempre fresco a ispirato. Non manca ovviamente anche l’ironia che dalle lontane origini ha caratterizzato i testi dei nostri, e brani come “
Pay to pray”, “
Syrian nightmare”, "
Secret order 1516" o “
The evil that men display” ci dimostrano come sia possibile trattare temi delicati in maniera meno seriosa ma altrettanto pungente e toccante.
Brani più tirati come la già citata “
Pay to pray”, la titletrack o “
Don’t bullshit us!” si alternano senza soluzione di continuità a brani più cadenzati, rendendo l’ascolto vario e mai noioso. Il riffing di Andy Gutjahr è ormai un trademark riconoscibilissimo, così come i suoi solo dal vago sapore maideniano, che smorzano ed arricchiscono la proposta dei nostri, anche se il segno più tangibile del loro stile continua a rimanere la caratteristica voce del singer Gerre, sempre molto equilibrato tra melodia e potenza.
Insomma, il “solito”, ennesimo, bel disco dei
Tankard, che farà la gioia dei die hard fans del gruppo, e dimostra ancora una volta il valore del quartetto, in barba alle produzioni più patinate e pubblicizzate dei ‘cugini’ crucchi. Qui di sostanza ce n’è veramente tanta, altrove viene lucidata a dovere e venduta per quello che spesso non è…
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