Il progetto
All 41 ha suscitato il mio interesse soprattutto per la presenza di
Robert Berry, artista che apprezzo moltissimo - il suo
“To The Power Of Three” con
Keith Emerson e
Carl Palmer è tra le cose più sottovalutate degli Eighties, così come i suoi
December People, versione prog della Trans-Siberian Orchestra - e che non ha avuto la stessa fortuna di musicisti più blasonati ma, secondo me, meno dotati
(per fugare ogni dubbio, sto pensando a Billy Sherwood, ndr).
Detto questo, il supergruppo costruito a tavolino dall’instancabile
Serafino Perugino con questo
“The World’s Best Hope” ha gioco abbastanza facile nel soddisfare i fan delle band di provenienza dei “big” coinvolti (all’anagrafe
Terry Brock, il sopraccitato
Robert Berry,
Gary Pihl e
Matt Starr).
“After The Rain” evidenzia da subito come bastino quattro accordi e tanta classe per scrivere musica di qualità (la lezione è quella di
Jim Steinman), e discorso simile si può fare per la successiva
“Cyanide”, ruffiana e AOR quanto basta.
“Down Life’s Page” attacca come una ballad strappalacrime per sfociare presto in un brano incalzante di scuola Toto, e anticipa un altro episodio da pelle d’oca come
“Mother Don’t Cry”. “Show Me The Way” è più vicina all’hard rock tout-court, prima della meno riuscita (e brevissima)
“Walk Alone”, filler un po’ forzato. Da qui in poi i tributi più o meno palesi prendono il sopravvento:
“Don’t Surrender”, dalle tentazioni bluesy, omaggia l’Hendrix di
“Little Wing”, “Never Back Down Again” rimanda a una versione “morbida” dei Van Halen,
“Who Knows” trasuda Boston da ogni poro e la titletrack crea un ponte ideale tra Journey e Whitesnake. Considerazioni a parte vanno fatte per
“Hero In Your Life”, dal gusto armonico più ricercato e originale.
La passione per certa musica c’è e si sente tutta. Se vi basta questo per procedere all’acquisto, evitate pure di pensarci su troppo…
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