Ho sempre avuto un debole per
Graham Bonnet, innanzi tutto per le sue innegabili capacità vocali e poi per il coraggio e “l’eccentricità” di un personaggio che in tempi di “settarismi” piuttosto accentuati, non si è mai preoccupato di adeguarsi a modelli estetici dominanti.
Capelli corti,
Ray-Ban e un
look che lo faceva sembrare una sorta d’interpolazione tra
Sonny Crockett e
James Dean non gli hanno mai impedito di dimostrare all’integralista mondo dell’
hard n’ heavy quanto la sua voce fosse speciale e quanto la sua personalità fosse sufficientemente corazzata da resistere all’impatto con quella smisurata di gente come
Michael Schenker e
Ritchie Blackmore.
Una carriera di ottimo livello che, oltre a Rainbow e MSG, comprende anche Alcatrazz, Impellitteri e lavori da solista (ma voglio anche ricordare la meteora Blackthorne, sicuramente da rivalutare …) e che viene celebrata in questo godibilissimo
live album, registrato al
Frontiers Rock Festival del 2016.
Forte di una solida
backing band (in cui si segnala la presenza del grande, e qui forse un po’ “sacrificato”,
Mark Zonder), il
vocalist del Lincolnshire sprigiona tutta la sua classe, trasmette il suo indomabile entusiasmo e ostenta un’ugola in più che buone condizioni di forma, ancora intrisa di
pathos e di granulosa pastosità nonostante le settanta primavere che la contraddistinguono.
Con il fattivo contributo del bravo e disinvolto
Conrado Pesinato, per nulla “turbato” dal dover sostenere un ruolo parecchio impegnativo (essere all’altezza dei vari
Malmsteen,
Vai e
Impellitteri, per non parlare di
Schenker e
Blackmore, non è esattamente uno scherzo …), il concerto si snoda tra brani celebri e autentici “classici”, regalando all’astante settantaquattro minuti di puro godimento
cardio-uditivo, da consigliare senza la benché minima controindicazione.
Al pubblico dei “cavillatori” (sempre piuttosto nutrito …), consegno qualche piccola perplessità sulla resa sonora complessiva, segnalo un pizzico di difficoltà da parte di
Graham nel “prendere” le note più alte e affido la delusione per non veder incluso nella
setlist qualche frammento del recente, assai riuscito, “
The book” (nel quale, tra l’altro, sono presenti, nel secondo
Cd dedicato alla storia del nostro, molti dei pezzi proposti in quest’occasione).
Poco male, in realtà, perché, lo ribadisco, “
Live ... here comes the night”, pur senza “sorprendere”, è un albo che emoziona dal primo all’ultimo istante … di quante altre analoghe produzioni discografiche odierne si può dire lo stesso?
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