Credetemi, ci ho provato con tutte le forze ad analizzare il nuovo lavoro dei
Quiet Riot senza lasciarmi travolgere dai ricordi, da un passato che non si sa bene il “perché”, è sempre migliore del presente, eppure anche così “
Road rage” rimane un prodotto mediocre, pressoché privo di una vera “anima”.
E poi comunque la mettiate, c’era sempre la questione “blasone” da onorare, quello della prima
band di
Randy Rhoads, capace di un successo stratosferico come "
Metal health" e artefice di un piccolo capolavoro (ampiamente sottovalutato) dell’
hard-rock blues cromato del calibro di “
Quiet Riot”.
I
Quiet Riot del 2017, coagulati attorno agli storici
Banali e
Wright (ma anche
Grossi è ormai da parecchio tempo membro del gruppo), non possiedono più né l’irresistibile ruffianeria (un po’ “caciarona”) degli esordi e né la pulsante tensione espressiva del 1988, non riescono a celebrare adeguatamente la loro “storia” e si limitano a offrirne una rilettura abbastanza sbiadita, perdendosi in composizioni piuttosto superficiali ed epidermiche.
Nemmeno il nuovo
vocalist James Durbin, prelevato “addirittura” dalle finali del
talent show American Idol, riesce a imprimere vitalità al repertorio e anzi finisce, con il suo timbro prevalentemente registrato sugli acuti, per affossare ulteriormente un
songwriting che sembra voler seguire le orme di dei campioni del settore con la stessa “timidezza” che ci si aspetta da un esordiente ancora poco “strutturato” sotto il profilo artistico.
Non molti i momenti, in qualche modo, da segnalare … le graziose “
Can't get enough” e “
Freak flag”, le scosse tra Aerosmith e Twisted Sister di “
Getaway”, gli Zeps e gli ‘Snakes omaggiati in “
Roll this joint” e nella bella "
Still wild” e ancora la rootsy "
Make a way” e la sentimentale “
Road” sono i momenti più efficaci di un programma complessivamente un po’ troppo blando per aspirare seriamente a un “posto al sole” nella frenetica scena musicale del terzo millennio.
Ho l’impressione che nemmeno “
Road rage” riuscirà a risollevare i
Quiet Riot da quell’anonimato in cui sono sprofondati dopo i fugaci anni d’oro della loro esistenza ... peccato, anche perché in questa maniera ci costringono davvero a passare per “nostalgici” …