Non sono un gran masticatore di crossover-prog, in parte perché non mi è ancora perfettamente chiaro cosa sia - gli esperti lo descrivono come un rock progressivo sofisticato ma più essenziale che “strizza l’occhio” a sonorità mainstream e di facile assimilazione - e in parte perché questa etichetta, negli anni, è servita troppo spesso come alibi per dare una dimensione “nobile” a proposte musicali
commerciali a tutti gli effetti (qualche nome: Supertramp, Talk Talk, Alan Parsons e, perché no, Radiohead).
Poi ho ascoltato
“Migration” e ho dovuto rivedere certe mie convinzioni. Questo ambizioso concept album di
Walter Bosello - mastermind del progetto
Oniric attivo da diversi anni - è un lucido esempio di musica elaborata ma accessibile, impegnata ma non spocchiosa, e il fatto che sia una produzione italiana lo rende ancora più godibile.
Il riuscito mix tra sonorità ayreoniane e sinfoniche - che ben si sposa con la vicenda legata all’album e per la quale rimando al sito dell’artista - introduce
“Not To The Moon”, lungo brano che spicca per le linee vocali a cavallo tra AOR, funk e prog (ottima, tra l’altro, la performance dietro al microfono di
Bosello).
“In My Heart You’re Here” mette a sistema hard rock e alternative, prima della più lineare
“Onward”, che sfoggia qualche idea di derivazione dreamtheateriana. Il cambio di rotta è dietro l’angolo, e risponde al nome di
“The Mutation”, un po’ Subsonica, un po’ Kraftwerk, in totale contrasto con la successiva
“Ancestria”, dinamica e catchy.
“Discovery” è una traccia strumentale elegante di chiara matrice progressiva e fa il paio con la ballad
“Space Debris”, dalla coda pinkfloydiana. I due brani che seguono sono di ispirazione crimsonica (
“Give Some Ground” ha la schizofrenia tipica degli inglesi degli Anni Ottanta/Novanta mentre
“Cast A Wave” rimanda alle tentazioni gamelan di
“Discipline”), e sfociano prima nell’ibrida
“Dear Aq-Nanda” - tra echi grunge e timbriche sintetiche - e poi nella più canonica
“Seed Of Disharmony” (che mi ha ricordato i primi Pain Of Salvation). Meno convincenti sono le due bonus track:
“World 2.0” è un heavy rock di maniera, contaminato ma poco incisivo, e il pop bizzarro anche se raffinato di
“We’ll Break This Spell” non regge il confronto con il resto dell’opera. Pazienza.
Ora, se mi chiederanno un disco crossover-prog da consigliare, saprò finalmente cosa rispondere. Gli
Oniric mi hanno tolto da un bell’imbarazzo…
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