Disco davvero strano e particolare quello degli
Widow, gruppo statunitense giunto con questo “On Fire” al suo secondo lavoro e dedito ad un affascinante mix tra un sound squisitamente classic metal old school, anni ’80 per capirci, mischiato a dovere con elementi decisamente esterni, come qualche scream e accelerazioni che non stonerebbero su album molto più estremi, ai limiti del black metal. Eppure il tutto suona dannatamente bene, ed i brani della band americana suonano dannatamente trascinanti e coinvolgenti, a partire dall’opener “An American Werewolf In Raleigh” dove un turbinio di riffs ci accoglie tra leads fulminei e cori galoppanti. La singer Lili riesce a dare davvero il meglio anche nella seguente “The Preacher’s Daughter”, uno dei pezzi davvero più riusciti insieme alla gasatissima “Dead End”, in cui prende in mano le redini della band, grazie alla sua timbrica alta, carismatica ed espressiva, perfettamente bilanciata tra la dolcezza femminile ed una carica emotiva davvero invidiabile, mentre il chitarrista Cristof si cimenta nelle back vocals (come detto, quasi scream) a volte perfettamente calate nel contesto, altre volte purtroppo fuori luogo ma fortunatamente in background così da non risultare fastidiose.
Purtroppo notizia dell’ultima d’ora ci conferma che Lili sia fuoriuscita dagli Widow e questo è davvero un peccato dato che sarà assai difficile rimpiazzarla, soprattutto dopo una prova studio così riuscita. “On Fire” è un disco che quasi sicuramente sarà apprezzato da tutti coloro che amano Iron Maiden, Warlord, King Diamond, il Malmsteen dei primi due dischi e tutto il movimento NWOBHM in generale, caratterizzato da una grande prestazione alle chitarre, che ricordano i migliori fraseggi degli Helloween e degli Arch Enemy dei fratelli Amott, ed un’attenzione per le linee vocali, catchy ed efficaci sia dal primo ascolto. Non è certo horror-metal quello che ne esce, come nelle intenzioni del gruppo, ma sicuramente un alone di mistero e di 31 Ottobre vengono pervenuti. Purtroppo qualche brano non all’altezza mina il valore complessivo di questo lavoro ma il risultato finale è di sicuro interesse, sia per il tentativo di combinare sonorità classiche ad alcuni elementi più estremi, sia per la godibilità di un disco che sa regalare tre quarti d’ora di grande metal, dalle tinte ottantiane, adatto sia per i nostalgici che per gli ascoltatori più giovani. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, per adesso promossi a pieni voti!
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