Chiunque conosca un po’ le vicende del
doom metal tricolore attendeva con ansia questo nuovo lavoro degli
Epitaph, formazione veronese nata sulle ceneri di Black Hole e Sacrilege e tornata all’attività discografica nel 2014 con l’eccellente (e in gran parte “antologico”) “
Crawling out of the crypt“.
Ascoltare “
Claws” m’induce a una considerazione … ribaltando la consuetudine che vorrebbe le velleità di rinnovamento nelle mani dei “giovani”, sono in realtà soprattutto i
doomsters nostrani con una certa “storia” e esperienza alle spalle (penso, per esempio, a Witchfield, Strange Here e Where the Sun Comes Down …) a impegnarsi con profitto nell’offrire una diversa chiave di lettura a sonorità fatalmente monolitiche e disciplinate. Evidentemente l’esigenza di non apparire semplici (per quanto spesso assai valenti) emulatori dei grandi
Maestri del settore è ancora lo stimolo essenziale di una generazione di musicisti che, pur avendo contribuito a codificare i carismatici dogmi della “via” italica alla dottrina oscura, sente di non aver esaurito la sua nobile missione.
Nei solchi dell’albo si possono trovare, infatti, i conturbanti insegnamenti di gente come Black Sabbath, Paul Chain, Witchfynde e Candlemass, ma il tutto è poi declinato attraverso una visione parecchio personale dei “fatti”, capace di destare l’interesse anche di chi è alla ricerca di qualcosa di meno superficiale di una “bella copia”.
La voce cangiante e istrionica di
Emiliano Cioffi (ex All Soul’s Day) rappresenta un costante elemento d’attrazione e le sue sofferte e intense interpretazioni s’inseriscono ad arte sulle pesanti coltri nere e drammatiche dell’opera, abilmente orchestrate dalla chitarra fremente di
Lorenzo Loatelli e dal possente martello ritmico garantito dalla coppia
Murari / Tollini, in grado di scandire con precisione e adeguata fantasia i tempi di uno scompiglio emotivo fatto di cupe, fascinose e inquietanti vibrazioni soniche.
Le ieratiche frenesie ancestrali di “
Gossamer claws”, le liquide scorie melodiche di "
Sizigia”, la dolorosa e tormentata litania funerea “
Wicked lady” (recuperata dal passato del gruppo) e il perverso ed evocativo macigno “
Declaration of woe” sono sicuramente momenti di notevole turbamento
cardio-uditivo, e tuttavia se cercate un coagulo di fosca creatività ancor più denso e impressionante affidatevi a “
Waco the king”, semplicemente una delle migliori “interrogazioni” sulla materia Sabbath-
iana degli ultimi tempi, un pernicioso affresco in note imbevuto del loro “spirito” primordiale senza per questo doverne pedissequamente ricalcare le inconfondibili movenze espressive.
“
Claws” è un lavoro che risponde pienamente alle necessità di ogni cultore del genere e sono convinto che anche i meno smaliziati ed esigenti, grazie ad una sua attenta fruizione, saranno agevolati nel comprendere la differenza che c’è tra un raro esempio di autentica ispirazione e il diffuso manierismo di tante (troppe?) scrupolose riproduzioni.
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