Inizi a capire che stai invecchiando o meglio "diventando vintage", quando i gruppi di cui hai visto i primi lavori arrivano al traguardo dei vent'anni di carriera.
Riffando e scapocciando infatti anche gli svizzeri
Shakra (di cui ricordo bene il debutto omonimo, acquistato in lire....) raggiungono le due decadi di attività e -dopo soli due anni dall'ottimo
"High Noon" - sfornano questo "
Snakes and Ladders" (ovviamente
AFM Records come gli ultimi), 11esimo lavoro sulla lunga distanza per loro.
Vi confesso che solitamente una produzione di un album ogni 2 anni mi fa storcere il naso perchè più che da ispirazione artistica, una tale abbondanza ho sempre paura sia ispirata dal dio danaro.
Fortunatamente -nonostante in carriera abbiano avuto alti e bassi- gli
Shakra per il momento sfuggono a questo pericolo come vedremo.
Certo dalla loro nascita non hanno mutato di molto il loro stile: un hard rock piuttosto muscoloso con riferimenti ai conterranei Gotthard, ai più celebri Bon Jovi, agli Aerosmith e -grazie alla voce roca e graffiante del confermato
Mark Fox- anche al periodo più rockettaro di Brian Adams.
"
Snakes and Ladders" presenta infatti un set di canzoni in pieno
Shakra-style ovvero riffs semplici, melodie ruffiane e ritornelli di facilissima presa e immediata empatia: e non ne parlo certo come difetti.
Brani come l'opener "
Cassandra's curse" - il cui songwriting parla del moderno mondo degli affari- con il suo ritornello anthemico e "canterino", la veloce e rock "
Friday Nightmare" o la title track "
Snakes and Ladders" fanno subito decollare il platter portandoci sul terreno preferito dagli elvetici: quello delle canzoni dirette.
Si prosegue con la power ballad "
Something you don't understand", a detta del chitarrista
Thomas Muster "una delle migliori canzoni che io abbia mai scritto" seguita dai mid tempo di "
The seeds" e dalla blueseggiante "
Rollin''" che ci regala una prova maiuscola di
Fox nelle tonalità più basse.
Il disco scivola via veloce con il rock and roll classico di "
Medicine Man" e della più robusta "
I will rise again" per poi chiudere con un poker (dato il titolo del platter mi pare il termine adeguato) di canzoni che confermano l'attitudine della band.
"
Open water" è la prevedibile ed immancabile ballad strappalacrime (ma tutt'altro che disprezzabile o sciocca), "
The race of my life" che potrebbe essere il manifesto dei 20 anni degli
Shakra e le conclusive "
Fire in my veins" -a mio avviso la top song del disco per i suoi riffs velati di malinconia- e "
The end of days".
Un altro centro per i ragazzi di Berna, un album da bere tutto d'un fiato in ogni occasione, un disco perfetto da mettere nel lettore dell'auto e viaggiare senza meta e senza pensieri.
Se volete un lavoro complesso, cervellotico e di assimilazione lenta probabilmente -anzi, sicuramente- non è qui che lo troverete ma altrettanto ovviamente per un tale obiettivo gli
Shakra sono senza dubbio il gruppo meno indicato.
Loro suonano hard rock "popolare" e lo fanno con ottimi risultati da oltre vent'anni: prendere o lasciare.
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