Prendete un guitar hero un po' "esuberante" sulla scia di
Yngwie Malmsteen, Steve Vai o
Joe Satriani, fategli suonare death metal strumentale, e avrete un'idea abbastanza precisa di quello che propone il buon
Dustin Behm.
Il chitarrista americano ha dalla sua una tecnica ineccepibile e un discreto gusto melodico (
"Mechanization") - e non ha paura di cercare nuovi significati della parola "estremo" (
"Poltergeist") - ma spesso tende a strafare (con i riff della titletrack ci si potevano fare almeno 3 o 4 canzoni) o a perdersi nei meandri del suo flusso di coscienza (i tanti finali in
fade parlano da soli).
In mezzo a molti episodi di chiara matrice death metal (oltre alle tracce sopraccitate segnalo
"Descent Into The Unknown" e
"Haunted Labyrinth"), troviamo deviazioni thrash (
"Rituals"), brani più grooveggianti (
"Last Resort", "Awakening") e un inaspettato - e riuscito - omaggio al compianto
Allan Holdsworth (
"Towers Of Glass") dai tratti fusion/ambient.
"The Beyond" è l'ennesimo disco strumentale per "addetti ai lavori", tanto chirurgico quanto difficile da assimilare se preso nella sua interezza. Poi mi chiedo: era possibile fare meglio di così? Oltre a togliere 2 o 3 brani no, quindi un 7 secondo me ci sta tutto.
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