I
Canaan di
Mauro Berchi, mastermind della
Eibon Records, possono essere considerati, a buon diritto, una vera e propria istituzione nel panorama metallico italiano, se non fosse che hanno sempre fatto musica elitaria, nel senso buono del termine, ovvero musica poco accessibile, perché, al di là della forma, è sempre stata basata sulle emozioni intime e oscure dell’animo umano.
Il nuovo “
Il giorno dei campanelli” appoda con colpevole ritardo su queste pagine (è uscito circa un anno fa), e il suo ascolto offre notevoli spunti.
Il mood di base è come sempre basato sull’analisi, verrebbe da dire sulla dissezione, dell’animo umano, soprattutto di quegli antri oscuri che si nascondono nelle pieghe più intime dell coscienza di ognuno. È musica dark, plumbea, grigia, che lascia trasparire un senso di abbandono, di desolazione, nella quale la sensazione di freddezza e di gelo è aumentata grazie al massiccio impiego di synth, con un gusto che talvolta è marcatamente industriale, come in “
Libero?”.
Se c’è un appunto che, per la prima volta, mi sento di fare ai
Canaan è a questo giro non c’è nulla di nuovo sotto il sole, nel senso che l’ascolto delle 14 tracce, sebbene la loro qualità media sia elevata, non lascia stupefatti come i loro precedenti dischi, quasi che abbiano subito una sorta di involuzione.
D’altro canto questa supposta involuzione è paradigma dell’evoluzione nella misura in cui le canzoni hanno una coerenza di fondo, a tratti monolitica, offrendo poche variazioni al tema nero del disco.
Cerco di spiegarmi meglio. Nei precedenti dischi, uno dei punti di forza delle canzoni era la capacità della band di esplorare a 360 gradi l’oscurità dell’animo umano, creando una serie di istantanee che, pur avendo un colore dominante, erano capaci di rappresentare tutte le varie espressione del male di vivere.
Questa volta la band si focalizza su una sola direzione, la ammanta di algida elettronica e la ripropone per tutta la durata del disco. Ma questa è una novità per la band e quindi, a modo proprio, un’evoluzione. Un’evoluzione ciò che per altri potrebbe essere involuzione.
Le vibrazioni basse di pezzi come “
Soltanto paura” si nutrono in egual misura di dark ambient e qualcosa che somiglia molto a certa trip hop notturna, acida, e sono enfatizzate dal cantato stentoreo di Mauro, il quale più che cantare sembra recitare le proprie liriche.
Il finale del disco si fa nero e minaccioso con tre autentiche perle come “
Scegliendo il solco sbagliato”, “
La lunga strada” e “
Due specchi”.
Come al solito è sempre difficile dare un giudizio sui
Canaan, di sicuro questo è un bel disco, ma altrettanto sicuro che non è al livello del precedente e mastodontico “
Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears”. Supportateli!
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