Nei primi Anni Settanta italiani non era insolito trovare band con nomi composti da tre parole: Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Reale Accademia di Musica, Rovescio della Medaglia sono solo alcuni esempi di quella che è stata probabilmente la più importante stagione musicale del nostro paese. Questa "tradizione" viene recuperata dai molisani
Stella Rossa Del Kinotto, monicker che per quanto detto sopra non può non prospettare certe sonorità o indurre a nutrire determinate aspettative.
La band si muove sulla sottile linea di confine che divide il rock progressivo italiano dal cantautorato, e lo fa con personalità anche se talvolta in maniera un po' maldestra. L'introduttiva
"La Canzone Di Astolfo" è mediterranea nell'arrangiamento ma poco fluida nello sviluppo, con il cantante
Giuseppe Bianchi impegnato a interpretare alla maniera dell'indimenticato
Demetrio Stratos. Questo "effetto collage" permane anche nella successiva
"Oltre La Palude", mentre si apprezza la semplicità delle armonie e delle melodie dell'essenziale
"Requie(m)".
"Non Gridare Più" spicca per il solo infuocato di
Giuseppe Reale all'Hammond - un po' Formula 3 - mentre
"Ai Tempi di Kate Moss..." rievoca atmosfere floydiane e pop nostrano.
"Rovine", tour-de-force strumentale nella migliore tradizione Seventies, non avrebbe sfigurato in un album del Balletto di Bronzo, così come sono lampanti i riferimenti della formazione nel brano
"Diario Di Un Amore Lontano", spigolosa come una traccia dei King Crimson di
John Wetton e
Bill Bruford. Del tutto inaspettata è la conclusiva (e goliardica)
"Due Di Picche", testimonianza del passato meno impegnato del combo che suona più come un b-side del buon
Edoardo Bennato.
I tanti
fade out e le chiusure spesso affrettate dei brani (tracce 5 e 7 in particolare) mi danno ancora più forza nell'affermare che il lavoro più grande da fare per la band è sulle strutture dei brani più che sugli arrangiamenti. Ma sulla "fertilità del terreno" non ho il minimo dubbio.
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