Non di solo metal vive l'uomo, e probabilmente il rock in generale non è nemmeno tra gli ascolti principali di
Lisa Cantone (in arte
Lisa Kant).
"Trinus" - a detta della stessa autrice -
"si addentra nel lato occulto della religione con un mix di suoni solenni, ma al contempo arcaici, mescolandoli a sonorità moderne e ritmiche".
Potrà suonare un po' presuntuoso, ma dopo averlo ascoltato devo ammettere che la descrizione calza a pennello. L'introduttiva
"Musa" (cantata in italiano) è evocativa e minimale, grazie al suo pianoforte filtrato in primo piano e all'elettronica elegante sulla scia dei Depeche Mode e del
Peter Gabriel di
"Ovo".
"Lama Sabactani" mi ha ricordato gli esperimenti di
orchestra sintetica di Vangelis, mentre
"Sanctuarium" non avrebbe sfigurato in un full-length degli Enigma. L'epica e cinematografica (quasi morriconiana)
"Castrum Vanitas" prelude alle sonorità tribali di
"Kyrie Eleison", prima della marziale e più lineare
"Sanctus". "Sion" è un brano morbido e avvolgente a cavallo tra Moby e Massive Attack che fa il paio con
"Ego Tantum", dove vengono tributati nuovamente
Martin Gore e
Michael Cretu. Si posiziona un gradino sotto la conclusiva
"Nemesi", eterogenea e sperimentale ma alle mie orecchie leggermente caotica.
Un album tutt'altro che immediato, ma assolutamente coerente e affascinante. Brava
Lisa.
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