Se ho fatto bene i conti,
Rise to Glory è il ventottesimo (!) album in studio per la più celebre, talentuosa, iconica metal band nipponica che sia mai esistita:
Loudness! Ricordo benissimo il primo approccio che ho avuto con loro (tanti anni fa) grazie ad una fotografia, questa:
Il mitico
Chuck è qui ritratto con i suoi compagni dell'epoca (1989) e con diversi dischi sparsi sul tavolo. Tra questi, sulla destra, un LP con bandiera imperiale giapponese attirò subito la mia curiosità. Feci così la conoscenza di
Takasaki e soci che ho continuato a seguire attraverso la loro lunga carriera, a volte con grande interesse, altre storcendo il naso a causa di vero e proprio pattume sonoro dato alle stampe. Dalla reunion dei primi anni 2000, i Nostri hanno continuato a marciare a buon rimo (non senza qualche passo falso), assorbendo anche la defezione del grande
Munetaka Higuci (deceduto purtroppo nel 2008), proponendo il loro metallo sempre in bilico tra brani di facile presa, pezzi più cattivi ed altri dal taglio moderno o intimista.
Nel nuovo
"Rise To Glory" i veterani nipponici riescono a mescolare le diverse facce del loro sound in modo convincente e senza esagerare con le sperimentazioni, dando vita a 12 brani dalla personalità differente ma accomunati da tanta "ciccia" pronta per esser data in pasto ai loro sostenitori.
So che i track by track annoiano ma in dischi vari come questo danno un'idea di cosa si possa trovare all'interno. Perdonatemi, cercherò di essere breve.
Dopo una breve intro strumentale, il primo brano vero e proprio di Rise to Glory è
Soul on Fire, uno dei primi singoli lanciati ed indubbiamente uno dei brani che funzionano meglio, tra assoli trascinanti, ritornelli convincenti ed una costruzione snella e dritta al punto.
I'm Still Alive ha già un taglio più moderno, un tempo più veloce ed in generale è un brano abbastanza ben riuscito ma termina con un fade-out inspiegabile.
Go for Broke è un mid tempo molto solido che si contrappone ad un chorus melodico ed arpeggiato e che ospita un bell'assolo di
Takasaki. Il disco prosegue con
Until I See the Light, una canzone abbastanza lenta con un ritornello dalle linee vocali rivedibili. Non che
Nihira sia mai stato una sirena (è sempre stato un buon interprete con la sua voce finemente sporca) ma in questo brano non convince molto.
Ci troviamo ormai nel mezzo del disco ad abbiamo ascoltato sì buone cose ma si avverte un pochino di stanchezza tra parti hard rock, sezioni più metallizzate e leggeri modernismi (ritmiche, suoni) sparsi.
The Voice è un altro brano hard-rockeggiante, piacione, dallo stile americano (tipo Dokken meets Bon Jovi a mangiare il sushi) dove si contina ad avvertire la grade differenza tra lo storico drummer
Higuci ed il "nuovo"
Suzuki dallo stile senz'altro più moderno ed impattante. Quando le speranze cominciano a svanire, ecco che arriva
Massive Tornado a dare la scossa a questo disco (sinora un po' moscetto) grazie alla sua carica ai limiti del thrash che include una parte centrale "strana" dai suoni differenti per poi tornare sui binari dell'aggressione ed ospitare un assolo a tutta birra col pick up al manico. Segue
Kama Sutra, mid tempo strumentale atipico, che introduce la
title track, una bella canzone classicamente metallica con doppia cassa a elicottero ma con un bridge rivedibile che spezza un po' il ritmo. Le bordate metal continuano su
Why and for Whom, pezzo trascinate, davvero ben fatto ma con un assolo un pochino anonimo pregno di velocità e sboronate shred a scapito di una melodia, di una costruzione più ragionata.
Dopo una prima parte più easy, seguita da qualche sperimentazione a metà percorso e qualche calo di tensione, ecco che il disco continua la sua cavalcata metallica ospitato uno dei brani meglio riusciti,
No Limits è un condensato di metal scintillante che arriva direttamente dagli anni '80 e va a posizionarsi tra i migliori brani del lotto.
La chiusura del disco è invece lenta, malinconica,
Rain sembra voler lavare via tutte le schegge di metallo che ci sono piovute addosso, alternando momenti "facili" a sezioni strumentali ricercate con una tristezza palpabile.
Sono consapevole che i Loudness i veri capolavori li abbiano scritti con
The Law of Devil's Land (il mio preferito),
Thunder in the East e
Soldier of Fortune (sì mi piace tantissimo questa colata di puro HM con un
Vescera in formissima) ma mi rende davvero contento che questi quattro samurai siano riusciti a confezionare un altro disco molto piacevole, vario, mostrando una buona verve nonostante tanti anni passati e i tanti stili "provati" durante la loro carriera.