Questa è la prima rappresentazione visiva che la mia mente ha associato alla musica contenuta in “
The Triumph of Piracy”, e non solo poiché le scimmie costituiscono da sempre elemento immancabile dell’immaginario piratesco (soprattutto se abbinate a una chiave inglese… i nerd più attempati l’avranno colta). No, l’associazione nasce soprattutto dal fatto che la foto in oggetto ritrae due bestiole clonate.
Ebbene, la recensione potrebbe concludersi così: la bestiola clonata dai
Rumahoy sono gli
Alestorm.
E tant’è…
…tuttavia, dal momento che ci tengo a conservare la nomea di recensore verboso, m’intratterrò con voi ancora un po’.
Tanto vale ribadire il concetto: i
Rumahoy si rendono artefici di un plagio sfacciato oltre ogni dire. L’immaginario, i testi, le melodie, i cori da taverna, gli arrangiamenti di tastiera, le linee vocali… tutto rimanda alla compagine scozzese in modo talmente spudorato da sfociare nell’incolpevole candore. In fondo sempre meglio dei tanti pseudo-artisti metal che copiano in modo inequivoco altre band, salvo negarlo con sdegno quando glielo fai notare nelle interviste.
“
The Triumph of Piracy” copia e incolla alla luce del sole, e per questo non merita rimproveri di sorta.
Devono pensarla così anche gli stessi
Alestorm, visto che –non ci crederete- si stanno portando i
Rumahoy in tour in veste di
special guest (!).
Praticamente un’orgia piratesca che nemmeno la proiezione ininterrotta della saga dei “
Pirati dei Caraibi” all’interno dell’attrazione “
I Corsari” a
Gardaland… con ogni probabilità gli spettatori, una volta terminato il concerto, nel parcheggio cercheranno il vascello anziché la macchina.
Sciocchezze a parte, credo sia a questo punto opportuno tentare d’individuare anche qualche difformità tra le due compagini. Ad esempio:
- i
Rumahoy provengono dal
North Carolina e non dalla
Scozia;
- rispetto agli
Alestorm si percepiscono meno influenze
power metal e più rimandi al
folk caciarone di
Finntroll e
Korpiklaani;
- le
vocals di
Captain Yarrface (ehm…) denotano una timbrica maggiormente gutturale e monocorde rispetto a quelle di
Bowes, che vince piuttosto nettamente il confronto canoro (anche grazie all’impagabile R arrotolata);
- ciò che più conta, gli
Alestorm il
pirate metal lo hanno inventato e codificato, e non sono ancora pronti per ammainare la bandiera.
Direi che proprio nel dato qualitativo emerge il maggior divario tra le due formazioni: il quartetto americano dimostra sin dall’esordio di aver imparato bene la lezione, sa suonare, divertire e comporre belle canzoni (penso soprattutto alla sfrenata “
The Haitian Slam” ed alle melodie etiliche di “
Forest Party” e “
Huffman the Pirate King”), ma ad oggi manca ancora di “spessore”.
Per intenderci: laddove i Nostri bucanieri si avventurano in composizioni dal piglio più ambizioso, qualche scricchiolio lo si ode. Provate a paragonare la cadenzata “
Netflix and Yarr” o la lunga
title track con brani come “
Magnetic North” o “
Treasure Island” -giusto per citare le prime due che mi vengono in mente- e vi renderete conto che i
Rumahoy devono berne ancora di grog per poter ambire al ruolo di nuovi dominatori dei sette mari.
Ad ogni buon conto “
The Triumph of Piracy”, per quanto leggerino e furiosamente derivativo, rimane un ascolto piacevole e più che consigliato a chiunque apprezzi il genere e non denunci remore morali nei confronti della clonazione.
Corpo di mille balene!
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