Possiamo dire tranquillamente che quel vecchio fattone di
Wyndorf stavolta è andato dritto al punto. Ha infatti scelto come titolo del nuovo album della sua band una parola che ne descive il contenuto in modo diretto e preciso:
Mindfucker.
A cinque anni di distanza dal riuscito
Last Patrol, i
Monster Magnet spingono sul pedale della semplicità, con discrete dosi di psichedelia, cercando di ridurre tutto all'essenziale, andando a comporre un lavoro che ti fotte il cervello per la dipendenza che riesce a creare.
Allontanandosi ulteriormente da certo stoner tanto in voga, la band del New Jersey riprende la via del rock degli anni '70 sparandolo a voltaggi elevati ma senza colpire in modo duro e secco, utilizzando invece quella sinuosa seduzione spaziale che le chitarre vintage effettate e la voce magnetica di
Dave sanno creare.
Per capire quello che dico provate ad ascoltare "
I'm God", un perfetto esempio di suoni liquidi che poggiano su un basso potente e su ritmi quadrati, una canzone che si prende tutto il tempo, che non vede l'energia e l'immediatezza come scopo ma che vuole avvolgerti e farti muovere la testa in un limbo, staccandoti per qualche minuto dalla realtà. Non che "
Drowning" sia da meno, anzi, è ancora più dilatata e sofferta, alternando un lato intimista a qualche esplosione elettrica. Se con i primi tre pezzi di
Mindfucker la band vuole infatti esprimere il suo lato più diretto e propriamente rock 'n' roll, ecco che con i due brani appena citati i Monster Magnet mostrano un lato più personale.
L'equilibrio torna poi perfetto con "
Ejection", riuscita cover dei maestri Hawkwind che serve a lanciare la diretta "
Want Some", canzone dalle chitarre robuste, fatta di pochi riff ripetuti, cawbell ed energia. "
Brainwashed" fa muovere prepotentemente il piede e le sue atmosfere da deserto chiamano a raccolta gli assetati di rock. Un giro di basso insistito fa poi da base per "
All Day Midnight", e mentre le chitarre espandononell'aria l'odore dell'erba, Wyndorf dosa alla perfezione energia ed una sottile malinconia. Sensazioni che ritroviamo in parte anche sulla conclusiva "
When The Hammer Comes Down", pezzo che però verso metà accelera, si gonfia mostrando i muscoli e schiaccia le teste degli ascoltatori come un post-sbronza colossale.
Mindfucker scorre liscio e durante l'ascolto quasi non ti accorgi del tempo che passa, si dimostra meno scorbutico, più delicato dei suoi due predecessori e non penso che ciò sia un male, anzi.
Questo disco potrebbe essere una colonna sonora perfetta da sparare nella notte al
Burning Man, tra una canna e l'altra, mentre gli occhi stanchi vedono un paio di tette ballare attorno al fuoco attraverso il fondo del bicchiere e le stelle sopra la testa si mettono a girare.
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