Al quinto album di una carriera pressoché perfetta, gli svedesi
Skogen, coraggiosi sin dalla scelta del loro monicker, decidono di lasciar "parlare", più di quanto già accaduto in passato, attraverso le loro composizioni lo spirito di Bathory.
"Skuggorna Kallar", che può essere etichettato come un album di blackened folk metal, proprio dello spirito di Quorthon e della sua straordinaria forza evocativa, si fa portavoce, fiero e magniloquente, attraverso composizioni che, sfruttando anche l'enorme talento del quartetto di Växjö, ti entrano direttamente nell'animo e ti conquistato grazie ad ispiratissime melodie (
"Nebula" non è di questo pianeta...) che, come sempre, trasformano in note la magnificenza della natura che circonda il genere umano.
"Skuggorna Kallar" è un album pagano, durissimo nelle sue spigolosità, caldo nei suoi intrecci melodici raramente così ispirati (
"När Solen Bleknar Bort" contiene dettagli clamorosi), deliziosamente in bilico tra il gelo del primigenio black metal e il pathos evocativo dei momenti folk che sono in grado di rendere concreti l'epicità e la malinconia che trasudano da ogni singolo passaggio di un lavoro che non conosce momenti di stanca o elementi fuori posto.
Gli
Skogen non hanno bisogno di ricorrere a soluzioni stravaganti per impressionare: i loro brani, spesso battaglieri, a volte di ispirazione doom, sempre eleganti e misantropici, riescono con facilità a colpire direttamente in faccia l'ascoltatore e non importa se a questo scopo il gruppo adoperi riffing tagliente come lame, assolo di chitarra dallo squisito gusto armonico, cori dei quali Quorthon sarebbe andato fiero o delicati e mai invadenti inserti di tastiera, perché il risultato finale e sempre e solo lo stesso, quello di impressionarci e di farci vivere la magia di una musica che trascende i limiti spazio temporali per consegnarsi alla immortalità.
Esagero?
Forse.
Ma questa è la musica della vita. Almeno della mia.
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