Adrian Belew è uno straordinario musicista il cui grandissimo talento non è stato messo a frutto soltanto dagli storici King Crimson, il suo punto di riferimento artistico, ma altresì da nomi eccelsi come Frank Zappa, David Bowie, Talking Heads, ed altri big con i quali il chitarrista ha collaborato con grande profitto nell’arco di una carriera ultradecennale.
Carriera che come sempre accade con personaggi di tale spessore, prevede anche un’importante sezione dedicata ai progetti solistici, normalmente utilizzata per l’esplorazione di scenari musicali inconsueti ed esterni al filone principale dell’artista. Nel caso di Belew e della sua iniziativa strutturata in tre capitoli, con il presente album che funge da parte centrale, ciò è però vero solo in parte.
Infatti anche ad un’ascolto superficiale appare chiaro che l’influsso crimsoniano è ben rilevante, nella sua forma più criptica e sperimentale e non tanto nell’aspetto rock-progressivo. Lo vediamo emergere sia in alcune incantevoli trame lunari delicatamente sognanti (“I wish I know, Sex nerve, Sunlight”) che sopratutto nei labirinti oscuri a base di rumorismi elettronici e spettrali distorsioni acide, dove vengono ripresi e deformati i temi più ostici del Re Cremisi (“Dead dog on asphalt, Then what”).
Belew ha comunque altre sfaccettature da presentare, ad esempio una mirabile vena melodica capace di produrre una romantica ballata splendida per la sua semplicità cristallina (“Face to face”), oppure del rock tiepidamente psichedelico che potrebbe appartenere a certe note sessioni desertiche (“Quicksand”), ed ancora nenie sintetiche ed angoscianti dalle ritmiche gelide e minimali che si perpetuano come litanie narcotiche (“Asleep, Happiness”).
Atmosfera seriosa ed algida, voce languida, temi profondi e riflessivi, giusto precisare che siamo di fronte ad una musica colta, cerebrale e sofisticata, nella quale si può perfino intravedere un velo di snobismo intellettuale. Dunque un lavoro che seppur di breve durata richiede notevoli sforzi per essere compreso.Un limite congenito nell’opera di Belew, qui coadiuvato da una coppia di livello formata da Danny Carey (Tool) e Les Claypool (Primus), ricca di spunti interessanti ma rivolta unicamente ad un pubblico circoscritto, una sorta di elìte avvezza a questo tipo assai spinto di ricerca sonora.
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