Il debutto dei
The Sea Within - "supergruppo" fortemente voluto dal fondatore di
InsideOut Music Thomas Waber (santo subito, ndr) formato da membri di
The Flower Kings,
Pain Of Salvation,
The Mute Gods e da una serie di ospiti del calibro di
Jordan Rudess (
Dream Theater),
Rob Townsend (
Steve Hackett) e
Casey McPherson (
Flying Colors) - è un album purtroppo mediocre penalizzato da una produzione, a mio parere, estremamente discutibile
(mamma mia che schifezza, ndr).
Peccato perché l’anticipata
“Ashes Of Dawn” non mi era dispiaciuta per niente: epica, teatrale, progressiva ma non per questo derivativa, con un istrionico
Daniel Gildenlöw perfettamente calato nella parte di
frontman anche al di fuori dal contesto
Pain Of Salvation (ma di dubbi a riguardo ne avevo pochi) e tutti i musicisti coinvolti impegnati a metterci del loro senza strafare.
Il resto è ordinaria amministrazione o poco più, dalla stucchevole
“They Know My Name” (che potrebbe ricordare certe cose di
Steven Wilson) alla piatta e nostalgica
“The Void” (tributo un po’ sconclusionato ai Genesis dell’era
Gabriel), dalla disomogenea
“Goodbye” (che ha qualcosa degli ultimissimi
Transatlantic) alla conclusiva
“The Hiding Of Truth” (vicina al sound dei primi
Yes). Va meglio con la dinamica
“An Eye For An Eye For An Eye” - dai connotati jazz e con un
Marco Minnemann sugli scudi - e con l’accoppiata
“Sea Without/Broken Cord”, impregnata di quel
mood tipicamente progressivo.
Il bonus CD poco aggiunge alla formula
The Sea Within, anzi, ne rende ancora più espliciti i riferimenti:
“The Roaring Silence” attacca come la ben più celebre
“Watcher Of The Skies”, “Where Are You Going?” sembra uno di quei brani di
Arjen Lucassen che rievocano i Beatles,
“Time” profuma dei
Marillion di
Steve Hogarth e
“Denise” mi ha fatto pensare a
David Bowie (nonostante una coda eccessivamente drammatica).
Un buco nell’acqua? Forse no, ma probabilmente un’occasione mancata.
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