Gli inglesi la chiamano
"consistency", parola a metà strada tra "coerenza" e "continuità" che ben descrive la produzione dei
The Pineapple Thief dalle origini ai giorni nostri. Cresciuti all'ombra dei ben più noti
Porcupine Tree, hanno iniziato a essere presi sul serio proprio nel momento in cui
Steven Wilson decideva di intraprendere la carriera solista. In altri termini, se fino al 2011/2012 circa non c'era una vera a propria "attesa" per un album dei
The Pineapple Thief, oggi la situazione è piuttosto diversa.
Dopo il buon
"Your Wilderness", la band capitanata da
Bruce Soord ha ufficializzato l'ingresso in formazione di
Gavin Harrison (e chi altri se no? ndr) e ha iniziato a lavorare a un album "corale" nato in sala prove con tutti i musicisti presenti. Il risultato è
"Dissolution" che, pur non essendo un "brutto" album, non riesce a convincere appieno come il suo predecessore.
A mio parere, il "peccato originale" di questo nuovo full-length sta nel suonare troppo come "l'album rimasto nel cassetto" dei sopraccitati Porcupine Tree: ci sono echi di
"Deadwing" in
"Uncovering Your Tracks", reminescenze di
"Fear Of A Blank Planet" nella ruvida
"All That You've Got", per non parlare dei (tanti) riferimenti al
Wilson solista (
"Try As I Might" ha molto del brit-rock di
"To The Bone", così come la successiva
"Threatening War" o la conclusiva
"Shed A Light").
Si esce poco dal seminato: ascolto
"White Mist" e penso ai
Riverside, mentre
"Pillar Of Salt" non avrebbe sfigurato tra i solchi di
"The Wall" dei Pink Floyd. L'episodio più interessante e originale è stato giustamente scelto come apripista e si intitola
"Far Below", canzone elaborata ma essenziale con un riuscito crescendo intermedio.
Per me più che sufficiente.
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