La Russia, in questi giorni alla ribalta per i mondiali pallonari, è da tempo un paese fertile per il metal estremo, dal death al black passando per tutte le sfumature del caso.
Gli
Aborted Fetus provengono da Perm, città a ridosso degli Urali, e sono attivi da più di un decennio con alle spalle una discreta discografia fatta di sonora brutalità condita con sanguinolente frattaglie assortite, di derivazione americana.
Con
“The ancient spirit of decay” la band si è posta un traguardo ambizioso, ovvero quello di creare un lavoro dalla durata superiore ai 30 minuti, riuscendo ad infilare una sequenza di tredici canzoni tredici in cui si scorrono in sequenza le canoniche variazioni sul tema, dal midtempo a alla velocità più azzardata, dagli inserti melodici (v. “F
lames of death” o l’inizio di
“Genital torture of the alligator tongs” che chissà perché mi ha riportato alla mente vecchie cose degli
Hypocrisy…) alla ruvidità spinta con l’onnipresente tremolo picking a farla da padrone.
Sfortuna vuole che il problema di questo cd risieda proprio nella sua canonicità, quarantotto minuti sono davvero tanti anche per un appassionato del genere come il sottoscritto abituato da decenni a queste sonorità, si fa letteralmente confusione nel ricordare dove si sono sentiti gli spunti interessanti che ogni tanto balzano all’attenzione e fanno sperare nella prosecuzione di qualcosa di eccitante e che invece riaffondano tristemente nella grigia normalità.
Peccato perché il quartetto non è poi così malvagio, ma rimane “vittima” della propria dispersione.
Forse era meglio rimanere ancorati alla tradizione degli album precedenti e puntare su un lavoro più compatto e meno dispersivo, fatto sta che
“The ancient spirit of decay” non costituisce il lavoro con l’iniziale maiuscola per uscire dai confini dell’underground.
Ci si rivede fra due anni al prossimo giro di giostra?
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