Non amo molto, e probabilmente già lo sapete, i dischi “risuonati”.
Ritengo tali iniziative, salvo rare eccezioni, assai discutibili, sostenendo con convinzione che ogni opera d’arte, con le sue (eventuali) splendide imperfezioni, deve essere contestualizzata nel periodo in cui è stata originariamente realizzata.
Se poi si tratta di
album registrati nelle migliori condizioni possibili, con produttori capaci e rese sonore all’altezza della situazione, diventa davvero complicato giustificare “razionalmente” operazioni di questo tipo.
Allo stesso tempo, capita però che l’oggetto della discussione sia uno dei veri capolavori dell’
AOR britannico, uno di quei miracolosi concentrati di note che vorresti fossero dichiarati un “patrimonio dell’umanità” ed ecco che tante apparenti certezze sembrano vacillare.
“
Out of the silence” dei
Dare uscì nel 1988 per la
major A&M, sotto la sapiente regia di
Mike Shipley (Diamond Head, The Cars nonché, più di recente, Nickelback) e
Larry Klein (
Joni Mitchell, B
enjamin Orr,
Tracy Chapman) e svelò al mondo la straordinaria “affinità elettiva” tra
Darren Wharton (già messosi in evidenza con i leggendari Thin Lizzy) e
Vinny Burns (all’inizio di una carriera che l’avrebbe portato a brillare con Asia,
Bob Catley e Ten, tra gli altri), capace di regalare al mondo una musica dall’incredibile potere evocativo, impregnata di tradizioni millenarie e di una spiritualità che raramente si riusciva a percepire così forte e intensa in un “semplice” frammento circolare di vinile.
Tutto è perfetto tra quei solchi: melodramma, dinamismo e magniloquenza si fondono in maniera prodigiosa senza evidenziare la benché minima flessione e anche il lavoro del resto della
band si dimostra assolutamente funzionale a un
songwriting ispiratissimo, alla voce suadente e alle tastiere di
Wharton e alla sei corde di
Burns, instancabile dispensatrice di prepotenti scosse emozionali.
E allora, perché mai scegliere di andare a “importunare” quello splendore, rischiando di interrompere una “magia” che nei cuori dei tanti
fans del gruppo si conserva intatta da tempo immemore?
Sinceramente non ho trovato una risposta plausibile, e anche se l’intento è di celebrare il trentennale della sua prima apparizione sulla Terra, faccio abbastanza fatica ad assecondare tale decisione.
Superando l’inevitabile diffidenza, posso almeno affermare che la “riverniciatura” dei suoni è stata svolta con misura e rispetto, che il pizzico di superiore “pragmatismo” (con maggiore risalto alle chitarre) non ha prodotto stravolgimenti e che anche gli attuali “comprimari” (tra cui lo “storico”
Nigel Clutterbuck) dei due
leader della
band hanno saputo entrare correttamente nel
mood delle composizioni.
Arriviamo, così, proprio a commentare la prestazione di
Darren e
Vinny, confermando per entrambi come il tempo non abbia minimamente scolorito la loro perizia e sensibilità interpretativa, e come, semmai, l’acquisizione di una naturale maturità li abbia resi più “sicuri” e disinvolti, inducendoli ad aggiungere un’efficace appendice a un "sacro" monumento di toccante enfasi celtica intitolato “
King of spades”.
Per quanto riguarda il resto di “
Out of the silence II” diciamo che si tratta di pregevoli riproposizioni di brani eccelsi, a iniziare dalle vibranti pulsazioni di “
Abandon” e dalle regali delizie pomp di “
Into the fire”, passando per il graffio di “
Heartbreaker”, il
groove arcano di “
The raindance”, il crescendo melodico di “
Nothing is stronger than love” e approdando al clima introspettivo di “
Don't let go”, non lontano dai Bad English.
Difficile, veramente troppo difficile, infine, condensare in una valutazione univoca e complessiva il crogiolo di sensazioni contrastanti che mi ha accompagnato per tutto l’ascolto del disco … e, pertanto, spero mi scuserete se per una volta mi affido ad un pavido “
Senza voto”, sperando tuttavia che anche una pubblicazione per certi versi “controversa” come questa possa contribuire ad avvicinare gli eventuali neofiti a uno dei debutti più scintillanti dell’intero
rockrama melodico del Regno Unito.