Impossibile trattare un’opera degli
Enuff Z’nuff senza rievocare i fasti di “
New thing” e “
Fly high Michelle”, le melodie zuccherine e accattivanti, le tinte psichedeliche del
look e dei
video-clip, in un approccio visivo che mescolava
glam e rigurgiti
hippie, tutta “roba” che il pubblico più “intransigente” aborriva, salvo poi magari lasciarsi segretamente adescare dalle spiccate capacità di seduzione di una formazione che aveva nella voce lasciva di
Donnie Vie e nella chitarra di
Derek Frigo (ex Le Mans, la cui perizia era stata certificata pure dal vate
Mike Varney) le sue punte di diamante.
Sono passati quasi trent’anni da quell’esordio omonimo e di cose ne sono successe ovviamente molte in casa
Enuff Z’nuff …
Derek ci ha lasciato e
Donnie non fa più parte di una
band oggi saldamente nelle mani di
Chip Z’nuff (unico superstite della
line-up originale), mentre a non cambiare sono i principali numi tutelari degli statunitensi, che si chiamano The Beatles e Cheap Trick.
“
Diamond boy” è, in effetti, una gradevole collezione di melodie eteree e liquide, appena innervate di
hard-rock, e se viene rispettato il tipico
trademark del gruppo di Chicago, bisogna anche dire che si conferma pure quello che ritengo il suo principale difetto, affiorato spesso dopo il brillante debutto.
Una certa mancanza di dinamismo compositivo e un pizzico di stucchevolezza di fondo zavorrano l’efficacia di un albo che ostenta un paio di evidenti cali di tensione (“
Down on luck”, “
Love is on the line”) e appare riuscito a metà anche a causa dell’ugola eccessivamente leziosa (e filtrata …) di
Chip.
D’altro canto la
Bolan-esca title-track del disco, le armonie fluttuanti di “
Where did you go” e “
We’re all the same” e poi ancora la splendida “
Fire & ice”, sanno fin dal primo contatto trasportare i sensi in un universo soffice e colorato, in cui galleggiare spensierati privi della forza di gravità.
Dosi superiori di pragmatismo e grinta li garantiscono la discreta “
Metalheart” e l’intrigante esercizio
hard-psych-blues “
Faith, hope & luv”, in contrasto con la godibile
glam-ballad “
Dopesick” e con la carezzevole “
Imaginary man”, che aggiunge qualcosa dell’ELO all’impasto sonico del programma.
“
Diamond boy” è dunque nell'insieme un buon lavoro, non “straordinario”, eppure capace di soddisfare piuttosto bene le esigenze
cardio-uditive dei
fans degli
Enuff Z’nuff e ricordare a qualche imberbe
rockofilo che l’omaggio sentito di “certi” miti della musica non è un’invenzione dei fratelli
Gallagher.
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