Si tratta di principio estendibile ad ogni campo artistico, ma trovo che, laddove applicato alla musica, esso acquisisca carattere particolarmente veridico: orpelli, arzigogoli, fronzoli e ghirigori non garantiscono spessore né ricchezza.
Al tempo stesso, non necessariamente essenzialità ed asciuttezza coincidono con grettezza e povertà.
La parabola dei
Mantar funge da plastica dimostrazione dell’assunto: parliamo di un gruppo con appena due componenti, fautore di un
metal grezzo, compatto, oltremodo schietto in termini di
songwriting, arrangiamenti e durata media dei brani.
Purtuttavia, soffermandosi con calma ed attenzione sul loro ultimo
full “
The Modern Art of Setting Ablaze”, si potranno senz’altro cogliere inattesi profili di profondità.
Si potrà, infatti, godere di una miscela tanto contundente quanto composita:
black,
doom,
sludge,
punk,
proto death ed un certo gusto melodico incline alla
wave si fondono in un
unicum sonoro non privo di
groove.
Ci si accorgerà, in questo senso, dei notevoli passi avanti compiuti dalla band di
Amburgo rispetto al precedente “
Ode to the Flame” –il quale, a sua volta, costituiva un notevole passo avanti rispetto al
debut “
Death by Burning”-: la proposta dei Nostri si è fatta ancor più accattivante, più fruibile, senza però snaturarsi o smarrire la crudezza abrasiva degli esordi.
Ancora: si avrà modo di indugiare su
lyrics suggestive, ancora una volta tenute assieme dal
fil rouge del fuoco che marchia ogni titolo dei teutonici. Il tema portante su cui “
The Modern Art of Setting Ablaze” poggia è lo sdegno per la deleteria tendenza dell’uomo a seguire ciecamente chi minaccia di portarci alla rovina, incendiando le menti delle masse. Senza toccare temi politici del tutto estranei a questo portale, trovo si tratti di un tema di estrema (e triste) attualità.
Il
platter, l’avrete capito, scorre che è una meraviglia, benché gli si possa forse imputare il difetto di sparare le cartucce migliori in apertura, con la letale doppietta “
Age of the Absurd” – “
Seek + Forget” (saggiamente scelte come singoli apripista) ed il
mood decadente di “
Taurus” a troneggiare sul resto della
tracklist.
Ad ogni modo, il livello dell’opera si mantiene su livelli più che discreti lungo tutti i tre quarti d’ora abbondanti di durata, contraddistinti da pochissimi cali e da un’intensità esecutiva sempre ragguardevole.
Se il vostro cuore aumenta i battiti solo allorquando sopraggiungono orchestrazioni magniloquenti e cori pomposi, fuggite dai
Mantar come se aveste un mastino idrofobo alle calcagna; diversamente, concedete a “
The Modern Art of Setting Ablaze” una
chance. Ben difficilmente ve ne pentirete.
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