Il fatto che alcune band di valore assoluto trascorrano nelle retrovie tutta la propria carriera, mentre altri che non possono nemmeno accordare loro gli strumenti siano idolatrate dalle masse resterà probabilmente un quesito senza risposta che mi porterò dietro a vita.
Di questa folta schiera fanno parte i magiari
Sear Bliss del mastermind
András Nagy che, forti di un quarto di secolo di attività e di una discografia praticamente scevra da passi falsi, continuano ad essere bellamente ignorati dal grande pubblico.
Dopo 6 anni dall'ultimo "
Eternal Recurrence", forti di una lineup completamente rinnovata ad eccezione di
Nagy e del passaggio alla
Hammerheart Records, solidi e convinti della bontà della propria proposta i nostri pubblicano questo ottavo full length dal titolo "
Letters from the Edge".
E tanto per cambiare realizzano l'ennesimo grande lavoro, un disco che coniuga sapientemente sonorità vagamente progressive ad un'anima devota alla nera fiamma, una miscela esplosiva che fonde male ed eleganza in un'unica entità.
L'album -dopo la breve intro acustica "
Crossing the frozen river" in cui le 2 sei corde di
Csaba Csejtey e
János Barbarics tratteggiano paesaggi eterei - irrompe violento con "
Forbidden doors", brano che dopo un inizio serratissimo si scioglie in orchestrazioni di ampio respiro che rimandano immediatamente ai meravigliosi Summoning di "Lugburz" e "Minas Morgul".
E' durante questi passaggi classicheggianti che l'arma segreta reclutata da
Nagy si svela: il trombone di
Zoltán Pál che -vinto lo stupore iniziale- si svela come il vero valore aggiunto che ci accompagnerà potente ma mai troppo invadente durante tutto il platter.
Il dittico composto da "
Seven Springs" e "
A Mirror in the forest" illustra meglio di mille parole come va suonato il black melodico/atmosferico, fondendo parti di synth, ottoni e riffs di chitarra malinconici ma nel contempo violenti senza scadere nella pacchianeria (qualcuno ha detto Dimmu Borgir?).
A fronte di tanta qualità perdono facilmente la ruffiana "
Haven" che -unico episodio nel disco- abbandona la via maestra per venire incontro ad una platea abituata a sonorità più moderne e facili.
Altro episodio notevole è la lunga "
Leaving Forever Land" che, in oltre 10 minuti, sviluppa un mid tempo con passaggi che rimandano ad un certo rock settantiano.
Dopo il breve intermezzo dal mood spaziale "
At the Banks of Lethe" i
Sear Bliss concludono "
Letters from the Edge" con "
Shroud" e le sue melodie doomeggianti e malinconiche.
Cinquanta minuti di musica che scivolano senza debolezze, senza punti deboli e senza che la tentazione di saltare qualche brano diventi irresistibile, ma che al contrario invogliano ad immergersi sempre più in profondità nella bellezza epica, melodica, oscura e possente che i
Sear Bliss hanno riversato in queste 10 tracce.
Che -ovviamente- resteranno delizia per pochi fortunati.
Sear Bliss - "
Seven Springs"
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