È un sound ambizioso e saturo a caratterizzare
"Dhyana", nuovo album dei
MaYaN che esce a quattro anni di distanza dall'acclamato
"Antagonise". Il side project di
Mark Jansen degli
Epica è metal sinfonico a 360°, di cui è possibile cogliere tutte le sfumature, dalle più tradizionali alle più estreme, grazie a strutture elaborate di scuola progressiva.
Quest'approccio traspare già dall'iniziale
"The Rhythm Of Freedom", dove orchestrazioni complesse, blast beat, growl e voci pulite si fondono senza soluzione di continuità. Se
"Tornado Of Thoughts" mette a sistema
Orphaned Land e
Dimmu Borgir,
"Saints Don't Die" rimanda all'intera produzione turilliana, prima della breve e morbida titletrack ispirata alla musica da camera, con protagoniste
Marcela Bovio e
Laura Macrì.
"Rebirth From Despair" non avrebbe sfigurato in un album dei
Fleshgod Apocalypse, e sfocia nella marziale
"The Power Process", con le orchestrazioni prominenti come non mai.
"The Illusory Self" è probabilmente l'episodio più progressivo del lotto con i suoi 9 minuti, in contrasto con in 3 minuti alla Two Steps From Hell di
"Satori". Se
"Maya" profuma di
Septicflesh, in
"The Flaming Rage Of God" c'è molto della band madre di
Jansen, discorso valido anche per la conclusiva
"Set Me Free", un po'
Rage dell'era
Smolski e un po'
Almanac.
Difficile chiedere più di così a un disco del genere...
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