Volete l’ennesima prova del fatto che la Cina, lungi oramai dall’essere un gigante alla periferia del mondo, sta inesorabilmente assimilandosi alla nostra economia e cultura? La presenza di un gruppo punk di livello internazionale! Già, perché a furia di copiare la tecnologia occidentale, i cinesi devono avere dato uno sguardo complessivo alla nostra musica, e scoperto che gli piace parecchio: negli ultimi anni sono diventati sempre più numerose le band di rock ed heavy metal esibitesi nel paese della Grande Muraglia (non da ultimi, i nostri Labyrinth!), ed ora evidentemente ci stanno provando anche loro a combinare qualcosa di interessante…
Questi Brain Failure esistono da circa un lustro, e “American dreamer” è il loro secondo lavoro, per la verità già abbastanza datato, considerato che è uscito sul mercato asiatico già nel gennaio del 2004, e che quella che teniamo ora tra le mani è dunque l’edizione europea.
Il disco può vantare la produzione autorevole di Ken Casey, bassista dei Dropkick Murphys, e nel corso dei suoi quaranta minuti di durata annichilisce l’ascoltatore con un punk selvaggio e dirompente, che poco ha a che fare con le riletture in chiave pop dei primi anni Novanta, ma piuttosto strizza l’occhio a nomi storici della scena britannica quali Clash o Sex Pistols (bands che la Cina comunista ha conosciuto abbastanza in fretta, anche se ci è voluto parecchio tempo prima che fossero tollerate ai piani alti del regime).
Non sono un grande amante di questo genere (lo ripeto per l’ennesima volta a scanso di equivoci!), ma questi Brain Failure suonano freschi e genuini, mostrano di aver appreso alla grande la lezione occidentale, e anche di goderci molto a fare quello che fanno!
Del resto questo è un act che l’America la conosce bene, visto che ci è stato in tour diverse volte, e nei suoi testi si intrecciano dunque elogi e critiche, in uno strano e apparentemente contradditorio connubio tra la le due opposte visioni degli Stati Uniti, quella della “Terra promessa” e quella del “Grande Satana”. Una cosa del tutto naturale per una band cresciuta in un Paese come la Cina.
Parlando di musica, questo è decisamente un buon lavoro, che presenta scariche di adrenalina pura come l’iniziale “That’s what I know”, “Fun and fight tonight” (che suona proprio come un autentico inno di battaglia oltre che come manifesto programmatico) o la divertente “Coming to the USA”.
Ogni tanto ai quattro piace smorzare un po’ i toni, e cimentarsi con atmosfere più vicine allo ska, come nella ironica “Second hand logo”, “Give me the cash”, o “Such a dangerous”.
Certo, alla lunga l’ascolto può risultare faticoso, specie per un vecchio “defender” come me, ma i BF sapranno senza dubbio suscitare l’interesse dei punk di tutta Italia.
Si chiude in bellezza con “New York City”, un brano che parte acustico, per poi scatenarsi con riffs da pogo selvaggio: si tratta dell’ideale conclusione per un lavoro come questo, così attento ad ogni aspetto, non solo musicale, del mondo anglosassone.
Per chi si lamenta dell’invasione cinese, ecco un buon motivo per ricredersi…
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