Ammettiamolo … non è un periodo particolarmente “creativo” per l’
hard-rock e, una volta assodato tale postulato, al vorace appassionato non resta che assecondare la sua brama di “novità” ricercando chi sappia compensare la diffusa carenza d’idee “rivoluzionarie” con un prepotente mordente espressivo.
A costoro non posso che consigliare questa nuova scoperta di casa
Frontiers Music, una
label che sta cercando, con ottimi risultati, di condensare nel suo stellare
roster artisti di comprovata esperienza e nuove leve.
Così, dopo Inglorious, Dirty Thrills, Wayward Sons e Bigfoot, tocca ai
City Of Thieves tentare di attirare l’attenzione di tutti gli estimatori del
rock n’ roll più granitico, diretto ed energico, edificato sugli imprescindibili insegnamenti di AC/DC, Rose Tattoo, Led Zeppelin e Aerosmith.
“
Beast reality” non è un irrinunciabile capolavoro da consegnare alla “storia” del genere, ma se cercate un disco che sappia investire i vostri sensi con dosi imperiose di strutture armoniche muscolari e virulente, tra questi solchi troverete di sicuro un bel po’ di quella “vecchia roba” che tanto ci fa fremere.
Un approccio “tradizionale” che però non è mai fastidiosamente derivativo, sfuggendo allo stucchevole effetto “fotocopia” grazie ad una rilevante vitalità interpretativa.
Aggiungete una sufficiente varietà compositiva e una produzione alquanto fisica e “esplosiva” (eccellente il lavoro svolto in “cabina di regia” da
Toby Jepson,
Mike Fraser,
Simon Francis e dalla
band stessa) e otterrete un modo piuttosto efficiente per colmare il vostro fabbisogno quotidiano di scosse musicali.
Le capacità del grintoso trio britannico emergono fin dalla poderosa
opener e
title-track dell’opera, che irrompe con il suo
groove denso e vischioso seguita dalle sincopi martellanti di “
Fuel and alcohol” e dal
pathos anthemico di “
Buzzed up city”, che mette a frutto con una certa perizia l’immortale lezione dei
rockers australiani più famosi del mondo.
Dopo la scura “
Lay me to waste” e il tocco sudista di “
Control”, il programma offre la melodia magnetica di “
Incinerator” e le atmosfere abrasive e “stradaiole” di “
Animal” (qualcosa tra Kix e L.A. Guns), mentre con “
Right to silence” il gruppo accentua la componente di sinuoso
hard-rock blues, dimostrando di saperci fare anche in questo specifico campo.
L’apparentemente “presuntuosa” “
Born to be great” è invece un’avvincente testimonianza di sapienza melodica, degna degli artisti di lignaggio superiore, e anche la successiva “
Damage” piace per come manipola con efficacia i crismi classici dell’
hard-rock.
Con lo scorticante
boogie “
Give it away” e l’emozionante intensità di “
Something of nothing” (strana posizione in scaletta per un pezzo di tale levatura …) si conclude un albo che non vi “sconvolgerà” l’esistenza e tuttavia amerete ascoltare e riascoltare, ricevendone costantemente un sacco di salubre godimento
cardio-uditivo.
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