Per chi scrive,
“World downfall” è uno dei più grandi dischi metal mai usciti. Un picco inarrivabile di violenza grindcore, qualitativamente altissimo, in cui l’amalgama del quartetto
Pintado/Garcia/Vincent/Sandoval è qualcosa di irripetibile. Un lavoro che il prossimo anno spegnerà 30 candeline e che non è invecchiato di un giorno da quando uscì per
Earache nel 1989.
La storia della band la conosciamo più o meno tutti – o almeno spero -
Pete Sandoval lasciò la band per unirsi alla creatura a nome
Morbid Angel e il mai troppo rimpianto
Jesse Pintado, trovatosi senza batterista non restò altro che dismettere la band finendo poi per unirsi ai
Napalm Death, band con cui rimase fino al 2006, anno della sua scomparsa.
Sempre in quell’anno uscì il secondo lavoro della band
“Darker days ahead”, lavoro a mio giudizio senza picchi eccelsi e più death oriented, mentre nel 2012 fu il turno del terzo, insipido, capitolo del progetto dal titolo
“Hordes of zombie”, il primo disco senza il contributo di
Jesse.
Nel frattempo
Pete Sandoval, abbandonati i
Morbid Angel, non ha potuto impegnarsi in pieno coi
Terrorizer a causa di gravi problemi alla schiena che lo hanno costretto a finire sotto i ferri del chirurgo, e la seguente riabilitazione lo ha costretto ad un riposo forzato lontano dalle pelli del proprio drum kit.
Una volta risolti i problemi di salute,
Pete si è messo in contatto con un’altra vecchia volpe del death americano,
Lee Harrison (mastermind dei
Monstrosity, ma anche chitarrista nel progetto solista del compianto singer dei
Crimson Glory, Midnight) il quale, a sua volta, ha reclutato al basso
Sam Molina (già all’opera nei
Monstrosity di
“Rise to power”)
Il terzetto ha così cominciato a lavorare, prima per divertimento e via via sempre più seriamente, sulle prime bozze dei pezzi finiti su
“Caustic attack” non dico ritornando alle origini, ma tenendo un approccio il più possibile vicino a quello degli esordi, in questo senso, va letta la scelta di
Harrison di omettere gli assoli dai quattordici pezzi finiti poi nella versione definitiva del disco, puntando tutto sul susseguirsi di riff velocissimi. Una impronta decisa.
La prova dietro le pelli di
Pete Sandoval è, sotto molti aspetti, commovente: tirato a lustro come ai vecchi tempi, il drummer sciorina una prova di tutto rispetto forte di una voglia pazzesca di dimostrare al mondo che il peggio è ormai un ricordo sbiadito.
Pur trovando
“Caustic attack” un filo troppo lungo (gira intorno ai quarantaquattro minuti), il grindcore con alcune venature death metal dei
Terrorizer supera decisamente le mie aspettative (che erano al minimo storico ): la titletrack,
“Poison gas tsunami”, “Sharp knives”, “Trench of corruption”, “Infiltration” ben rappresentano il lavoro e spazzano via ogni dubbio sull’effetto nostalgia di questa produzione.
In attesa di vedere se finalmente si è riuscita a spezzare la “maledizione dei sei anni” – tanto è incorso fra le ultime tre uscite - e se si riuscirà ad avere una parvenza di stabilità negli anni a venire, credo che una possibilità a
“Caustic attack” vada data. Potrebbe stupirvi.