Che la band di
Johnny Hedlund stia vivendo una sorta di seconda giovinezza credo che sia evidente anche a chi segue estemporaneamente la band di Stoccolma. Scioltisi i
Dismember (ma con viva sempre la speranza di rivederli in azione), dilaniati fra dispute legali gli
Entombed e con i
Grave che vivono di fiammate improvvise, il vessillo storico del death metal gialloblu è ormai da tempo saldamente in mano agli
Unleashed, capace di pubblicare con estrema regolarità e giunta con il presente
“The hunt for the white Christ” al tredicesimo album in studio. Un bel ruolino di marcia vero?
Se poi prendiamo in esame i dischi usciti negli ultimi dieci anni – musicalmente parlando un periodo lunghissimo – è indubbio che i Nostri abbiano trovato la quadra creando lavori qualitativamente molto alti (
“Hammer battallion”, “As Yggdrasil trembles”, “Odalheim”, “Dawn of the nine”) che hanno mietuto consensi di pubblico e critica.
Da questa introduzione avrete intuito che anche
“The hunt for the white Christ” segue la scia dei suoi fortunati predecessori, miscelando inni bellicosi, ritmiche potenti e quel pizzico di melodie catchy che ti permettono l’identificazione delle canzoni nell’arco di un paio di ascolti.
Inoltre, da quando hanno inserito nel proprio sound dei riff più oscuri, ammiccando volutamente alle storiche realtà black/death svedesi, le composizioni hanno fatto un ulteriore salto qualitativo senza per questo snaturarne la struttura.
Con
“The hunt for the white Christ” si viene rapidamente trasportati sui campi di battaglia lordi di sangue fin dall’attacco della carismatica
“Lead us into war” – brano che già da un mesetto viaggia sul tubo con un lyric video – per proseguire poi con
“You will fall” dove possiamo ammirare un
Anders Schultz in gran forma che regala blast beat come se piovesse sui riff melodici della coppia
Tomas Olsson/Fredrik Folkare. Il disco prosegue che è un piacere, alternando brani più classicamente Unleashed come
“Stand on your ground” (dal riff melodico e con un chorus da cantare dal vivo),
“Terror Christ” (una scudisciata maligna),
“They rape the land” (sentire come
Johnny ci dà dentro con il suo basso) ed altri in cui riaffiorano sia l’anima oscura della band che si declina in riff blackened oriented (v.
“Gram” , la bellissima titletrack) che quella più epica (v.
“The city of Jorsala shall fall”, “Vidaurgelmthul”).
“The hunt for the white Christ” è, nei fatti, l’ennesimo anello forte di una catena di album. Lineare, concreto ed esperto, esalterà non poco i fanboy (e ce ne sono) e soddisferà le esigenze anche di chi occasionalmente si è avvicinato alla band di Stoccolma nel corso degli ultimi anni.
Se non ci fossero dovrebbero essere inventati.